TITOLO ORIGINALE: The wind that shakes the barley
REGIA: Ken Loach
CON: Cillian Murphy, Padraic Delaney, Liam Cunningham, Gerard Kearney, William Ruane, Orla Fitzgerald
FRANCIA/IRLANDA/GRAN BRETAGNA 2006
DURATA: 124’
GENERE: Drammatico
VOTO: 7,5
DATA DI USCITA: 10 Novembre 2006
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Irlanda 1920. Dopo avere subito le reiterate angherie delle truppe inglesi che occupano la nazione, un manipolo di contadini ed operai si organizza nei gruppi clandestini di lotta armata per l’indipendenza nazionale. Damien, laureato in medicina, decide di rimanere a combattere per la liberazione del suo paese nonostante abbia già un’allettante prospettiva di lavoro a Londra. Insieme al fratello Teddy prende la guida del gruppo di uomini con i quali combatte. Le loro strade, però, si dividono irrimediabilmente all’alba di un ambiguo accordo con le forze d’occupazione inglese.
Il film vincitore del festival di Cannes 2006 è uno straordinario esempio di come attraverso l’arte cinematografica della narrazione epica si possa alludere ad un’idealistica militanza politica. Confondere il piano artistico con quello politico risulta spesso una banalizzazione del primo, limitandolo ad un’univocità mutevole, ma metaforizzare l’allusione politica attraverso la presa di distanza dall’attualità storica può risultare molto interessante. Soprattutto quando diversi ideali e diversi atteggiamenti della natura umana vengono personificati. Questo è il caso del film di Loach. La meraviglia empatica di quest’opera non è tanto, infatti, nei riferimenti alle guerre d’occupazione attuali mostrando un’azione colonialistica lontana nel tempo, quanto un’amara riflessione sull’impossibilità sociale di non scendere a compromessi.
La resistenza tradita, si potrebbe dire utilizzando un motto ricorrente nelle sinistre italiane del dopoguerra. Una riflessione visiva su come l’utopia della purezza individuale e della perfezione sociale sia perennemente sconfitta, sul campo di battaglia della storia umana, dal realismo dei giochi di potere e della convenienza politica o dalle incontrollabili ambizioni personali. Il film di Loach si presenta come un atto d’accusa contro il politically correct e mostra, pur forzandola a volte, come la violenza si possa combattere solamente con altrettanta violenza. L’incipit del film in questo è magistrale.
La rabbia e lo sdegno che le sequenze iniziali riescono a montare sono tali che non si può far altro che simpatizzare per una ribellione armata e violenta, da parte dei ragazzi irlandesi. La cosa puntualmente avviene, perché -nonostante le teorie inumane rappresentate dal cattolicesimo del porgere l’altra guancia o quelle ingenuamente umanitarie dal pacifismo imbelle- nel concreto dell’essere umano, l’unico modo per opporsi ad un’ingiusta violenza è una commisurata dose di violenza. Una reazione peraltro giustificata, al contrario della sua causa. Una giustificazione per quegli atteggiamenti di legittima resistenza che l’opinione pubblica attuale –nell’apogeo della sua ipocrisia mediatica globalizzata- inflaziona come atti terroristici, facendo di tutta l’erba un fascio?
Sicuramente si. Infatti, il punto di vista che Loach sposa è esclusivamente quello degli occupati irlandesi, tralasciando totalmente quello degli occupanti, per una scelta di campo che parla chiaro. Ma il contesto irlandese ed il raggiungimento di un certo, seppur minimo, accordo con le forze inglesi, gli permette di trattare un annoso problema. Quello dei dissidi interni alla sinistra, tra moderati, massimalisti ed estremisti. Anche in questo evidentemente il mondo è paese e quello che sembra essere un problema italiano è probabilmente assai più diffuso. Ad un certo punto, come in Terra e libertà, sembra di assistere alla rappresentazione seria, visto il momento decisivo per le sorti irlandesi, di quello che il teatrino della politica italiana, e non solo evidentemente, propone quotidianamente in seno alle divisioni interne del centrosinistra.
Ma tutto rimanda più che altro alle varie anime interne alla sinistra tout court, con un gruppo di guerriglieri che firmano l’accordo, facendo in sostanza le veci degli inglesi, e l’altra parte che rifiuta di scendere a compromessi e di non portare a termine il processo di liberazione faticosamente intrapreso. Le due anime politiche sono sintetizzate dalla divisione dei due fratelli, che si ritrovano l’uno contro l’altro.
Da questo momento, e soprattutto nella sequenza finale, il film acquisisce un fortissimo valore simbolico che travalica il contesto storico narrato e che allude tristemente all’attualità politica, dove l’idealismo è stato ucciso dai compromessi e dalle logiche di mercato del sapersi vendere. Il pensiero e la visione politica di Loach sono sintetizzate dalle parole che Damien cita a memoria, quando è rinchiuso in cella: “Se domani cacciate via gli inglesi ed issate la bandiera verde sul castello di Dublino, ricordatevi di proclamare la repubblica socialista, altrimenti gli inglesi continueranno a dominarvi tramite i capitalisti, i latifondisti, i proprietari terrieri”.
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