Tim Treadwell ha dedicato la propria vita allo studio ed alla convivenza con i grizzly dell’Alaska. Con loro trascorre i mesi estivi dell’anno fino all’autunno, per anni. E, grazie a loro, imparerà a conoscere se stesso come uomo.
Ci sono uomini in grado di migliorare il mondo indipendentemente dal numero di persone che sono a conoscenza della loro esistenza. Tim Treadwell ha reso il mondo un posto più vivibile anche per coloro che non l’hanno mai sentito nominare.
L’uomo è un animale sociale. Oppure no? Tim, una personalità dipendente – indipendentemente dalla droga da cui dipende –, si ritrova a (con)dividere le proprie ombre con gli orsi grizzly, con i loro istinti incontrollabili e con i miracoli della natura. I grizzly, dietro l’apparente meccanica ricerca di cibo (come affermerà il regista, chissà perché), nascondono un’intelligenza ed una sensibilità agli stimoli esterni tanto da consentire l’istaurarsi di un vero e proprio rapporto duraturo, fondato sulla consapevolezza della presenza dell’altro: Tim riconosce e distingue i grizzly, assegnando loro nomi di persone e i grizzly, a loro volta, imparano a convivere con lui rispettando anche il suo territorio.
Se Tim vuole sopravvivere deve marcare con decisione quello che è il suo spazio vitale. Nessuno si deve intromettere nel suo spazio, come lui non si intromette in quello degli animali: dialoghi muti in un codice linguistico prettamente corporeo. Perché anche quello del corpo è un linguaggio, né più né meno. Siamo in grado di accettarlo e rispettarlo, noi umani?
Il mondo degli animali è un mondo dove la ricerca del cibo e la salvaguardia del proprio spazio può costare la vita. E Tim lo impara, a proprie spese. Non hanno le leggi, loro. Non hanno il buonsenso, loro. Non hanno saggezza, loro. Oppure sì? Solo chi non ha animali può credere che gli animali siano meccanica ricerca di cibo. Come tutto il resto, anche il regno animale è dominato dal caos. L’universo è entropico.
Non ci serve Werner Erzog per saperlo. Perciò, a parte le conclusioni pessimistiche fuori luogo del regista , il film è un entusiasmante documentario sulla scoperta di una natura di cui spesso violiamo i diritti. “Se le persone ti conoscessero – dice Treadwell riferito alla volpe Spirit – non ti darebbero la caccia per gioco o per farci le pellicce”.
Un documentario sulle riprese, più di cento ore, di Tim durante i mesi trascorsi nel cosiddetto Santuario e nel Labirinto dei Grizzly, tra i monti dell’Alaska. Luoghi persi e solitari dove regna il silenzio di dio e dell’anima. Dove un uomo, da solo, può perdere la ragione e ritrovarla.
Uno di quei viaggi senza ritorno. E benché taluni possano credere che Tim fosse pazzo - per quanto potesse esserlo davvero - c’è una solida e indissolubile meraviglia che anima la natura e gli spiriti romantici che la osservano. Questo rimarrà oscuro a chi è troppo severo o troppo rigido, a chi è troppo assorto nel proprio essere uomo.
Ma ciò non toglie che l’incanto della natura esista, che ci piaccia o meno. Un grazie a Treadwell per essere esistito. Un grazie ad Erzog per averci fatto spiare un angolo del suo inferno e paradiso. Un grazie agli animali che ci permettono di vivere nel loro mondo – anche se non sempre li si rispetta.
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