Nel 1914, allo scoppio della Prima Guerra Mondiale l’America decise di non combattere. Alcuni giovani americani si arruolarono volontariamente negli eserciti di altre nazioni. Tratto da una storia vera, Flyboys racconta le vicende di cinque ragazzi e di come cambiò la loro vita.
Ispirato alla storia della squadra di piloti Lafayette Escadrille, il film narra, con sincopato interesse, la storia di cinque giovani americani che, a dispetto del loro paese e dell’opinione pubblica, si arruolano come volontari, chi come soldato, chi nella Croce Rossa. Solo un gruppo esiguo tra loro decide di imparare a volare.
La vicenda della Lafayette Escadrille è la vicenda dei “flyboys” che convinsero un intero paese a misurarsi con la dimensione della guerra. Così, questi giovani si avventurano in un’impresa – imparare a volare – che li renderà i primi piloti militari della storia.
Le loro storie, trattate con insolita delicatezza per essere un film di guerra, ci mostrano ragazzi poco più che adolescenti che, per vari motivi, vogliono dimostrare – come tutti i giovani – di essere validi e di avere un loro posto nella storia del mondo.
E se Blaine Rawlings (James Franco) è audace e virile, Eugene Skinner (Abdul Salin) è un pugile emigrato in Francia che vuole pagare il debito che ha col proprio paese per averlo abbandonato, mentre William Jensens (Philip Winchester) è il giovane che parte dal piccolo paesino del Nebraska deciso a rendere i propri familiari orgogliosi di lui.
Ognuno di loro agisce con le proprie ragioni, legittime o meno, strette tra i denti e con i propri desideri di rivalsa. Ed è proprio nella scoperta e nello svelamento della dimensione umana dei soldati protagonisti che si possono comprendere e giustificare di volta in volta le scelte del regista.
I nuovi aviatori sono posti sotto il comando di un combattente francese, il capitano Thenault (Jean Reno) e al pilota americano Reed Cassidy (Martin Henderson). Con le ammonizioni riguardo la prudenza che li avrebbe ricondotti a casa, tenendo conto della presenza di un’altra squadra di aviatori chiamati “Killer”, i giovani vengono sottoposti ad un duro allenamento fisico e mentale prima di approdare al loro obiettivo: volare.
Combattendo una guerra che non coinvolgeva il loro paese in modo diretto, gli Usa infatti non erano ancora intervenuti in merito, i giovani hanno modo di sperimentare la fratellanza, l’eroismo, il coraggio e la tolleranza: valide motivazioni per mettere a rischio la propria vita. Si scoprono uomini. Si scoprono tutti uguali, dietro le loro divise e le loro armi.
Scoprono che il dolore non ha confini di razza. E, probabilmente, si accorgono di quanto possa essere insulso il combattere. Nonostante capiti che il film cada nel già sentito – vale la pena citare La sottile linea rossa - il regista cerca di introdurre dei personalismi all’interno di eventi che si svolgono al cospetto dell’immensità della Prima Guerra Mondiale. Una guerra senza precedenti.
Lo scenario e l’orrore di questa, come di ogni altra guerra, si sposa con la dimensione del privato, dell’intimo di ogni uomo che si misura con l’immensità. I ragazzi, giovani di età ed inesperti, hanno come unica arma il coraggio e – probabilmente – il desiderio di diventare eroi.
E benché a taluni possa risultare fuori luogo questa intimità così ricercata, si deve ammettere che la mancanza di quel ridondante patriottismo proprio, invece, dei soldati di alcuni film americani, fa pendere la bilancia dalla parte di questi giovani aviatori.
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