|
LA SESTA ESTINZIONE E L'UOMO CAMBIO' IL CLIMA...
|
Per un singolo essere umano, pensare a scala mondiale e con un occhio ai prossimi 100-200 anni, può essere un’impresa difficile, anzi talmente fuori portata che l’uomo ha spesso finito per orientarsi su una scala più minuta: lo stato, la città, la casa. Questa mancanza di un senso “comunitario” della vita sulla Terra ha fatto sì che l’uomo, la specie con il maggior impatto sugli ecosistemi, fosse all’origine di quella che molti scienziati chiamano la “Sesta Estinzione di massa”.
|
di Rachele Malavasi
|
La Lista Rossa delle specie 2006, pubblicata a Ginevra dalla IUCN (Unione Mondiale per la Conservazione), parla di 16.119 specie animali e vegetali minacciate su 40.177 esaminate, oltre 500 in più rispetto al 2004. Queste cifre non sono le più drammatiche, se si calcola che molte specie si estinguono ancora prima di finire sulla lista di quelle in pericolo, a causa di ritardi e lentezze della burocrazia.
In particolare, la Lista Rossa afferma che sono a rischio una specie di uccelli su otto, un mammifero su quattro ed addirittura un terzo degli Anfibi: di questi ultimi, su un totale di 5.700 specie, ben 1.800 sono in via di estinzione. Non minacciati, ma IN VIA DI ESTINZIONE.
Questa classe di vertebrati (Rane, Rospi, Salamandre e Tritoni, principalmente) è caratterizzata da una pelle molto sottile che la rende particolarmente vulnerabile a variazioni di temperatura, ai raggi ultravioletti e alla presenza di sostanze tossiche o inquinanti nell’atmosfera.
Gli Anfibi, diffusi in tutto il mondo ma specialmente nelle zone tropicali, sono da sempre costretti ad una vita di compromessi per proteggere la loro delicata epidermide, ma il bombardamento che l’uomo sta apportando all’ambiente su ogni fronte li pone ad un passo dall’estinzione.
Qualcuno si rende conto di cosa voglia dire perdere UN TERZO degli Anfibi esistenti? Tanto per citare un esempio: chi mangerà zanzare e altri parassiti, portatori della malaria, della malattia del sonno, di Lyme e innumerevoli altre? Chi libererà i campi da lumache e bruchi? Di che vivranno i milioni di uccelli che si nutrono di piccoli vertebrati? Intere catene alimentari distrutte.
Due eminenti studiosi dello Zoo e del Botanical Garden di Atlanta, in preda al panico per la rapidissima espansione del fungo Batrachochytrium dendrobatidis, favorita dall’aumento delle temperature e che provoca la morte per asfissia degli Anfibi, non ci hanno pensato due volte e, al posto di attendere i tempi secolari della burocrazia, hanno caricato 600 Anfibi del Sud America (centro di diffusione del fungo) in valige appositamente costruite e hanno cercato di portarli in salvo negli Stati Uniti.
Purtroppo sono stati scoperti alla frontiera.
L’estinzione degli Anfibi sarebbe quindi solo l’inizio di una lunga serie, assieme alla diffusione di malattie e parassiti su scala globale. Sarebbe l’inizio della Sesta Estinzione.
|
|
In realtà, il primo studioso a parlare di una Sesta Estinzione fu Edward O. Wilson, famoso biologo di Harvard. Egli ritiene che l’estinzione abbia avuto inizio quando Homo sapiens cominciò a diffondersi dal continente africano verso gli altri continenti, circa 15.000 anni fa (Pleistocene).
L’uomo, forte della scoperta del fuoco, che lo scaldava e proteggeva durante la notte, e della possibilità di utilizzare utensili per costruire armi e quant’altro, ha avuto più di altre specie delle stesse dimensioni la possibilità di accrescere la propria popolazione. Quando ha iniziato a spostarsi dall’Africa, le necessità alimentari lo hanno spinto ad esercitare una pressione di caccia più forte di quanto la natura potesse sostenere.
Scomparvero in brevissimo tempo i grandi mammiferi non africani: Mammuth, Mastodonti, Tigri dai denti a sciabola, Bradipi di terra da tre tonnellate, il Moa della Nuova Zelanda e tanti altri. In Europa scompaiono Elefanti, Rinoceronti, Ippopotami, Leoni, Iene. In Africa, dove si ritiene che gli ominidi abbiano avuto origine, gli animali hanno avuto la possibilità di evolversi contemporaneamente ad essi, e quindi hanno sviluppato le difese necessarie.
Un’altra fase, più drammatica, della Sesta Estinzione, ha inizio con l’invenzione dell’agricoltura, circa 10.000 anni fa, pratica che rende necessaria la conversione di interi ecosistemi in campi coltivabili. Quindi via alla distruzione delle foreste, alla canalizzazione dei fiumi, alla caccia contro gli animali ritenuti nocivi.
L’agricoltura ha permesso all’uomo si aumentare la propria popolazione a dismisura, aldilà della capacità dell’ambiente di sostenerlo, poiché in caso di necessità bastava che egli modificasse l’ambiente. L’uomo è l’unico animale che opera trasformazioni così rapide a livello di ecosistemi (a parte i Castori, che tuttavia hanno una popolazione molto più limitata).
Homo sapiens sapiens ha avuto origine circa 30.000 anni fa. In 20.000 anni è arrivato ad una popolazione di 1-10 milioni di persone. Dopo l’avvento dell’agricoltura, la rivoluzione industriale e le scoperte della medicina, la popolazione ha raggiunto, in soli 10.000 anni, più di 6 miliardi di abitanti.
Una crescita esplosiva, che si stima arriverà a 8 miliardi nel 2020. Secondo Wilson e Nile Eldredge, paleontologo dell’ American Museum of Natural History di New York, l’esplosione demografica, con le conseguenze che ne derivano, è alla base della Sesta Estinzione.
L’ultimo allarme relativo all’avanzata della Sesta Estinzione (detta anche, per la sua rapidità di azione, blitzkrieg, la guerra lampo), viene dalla rivista Newsweek, che ha pubblicato una raccolta di studi che collegano i cambiamenti climatici con la biologia delle specie.
Fra gli altri, le Marmotte dalla pancia gialla delle Montagne rocciose finiscono il letargo ben 23 giorni prima di quanto non facessero 30 anni fa, perché la stagione calda arriva precocemente. Sia venti specie di libellule che la volpe rossa canadese hanno ritenuto troppo caldo il loro habitat e si sono trasferite diversi chilometri più a nord.
|
|
Ma non tutte le specie riescono ad adattarsi alla nuova situazione. Diverse hanno subito l’onda d’urto senza poter opporre resistenza, e stanno andando incontro ad una drastica estinzione. Entro il 2050, se i disturbi provocati dall’uomo procederanno ai presenti ritmi, perderemo più della metà delle odierne specie.
E non si parla di “insettini e vermetti”: scomparirà circa il 24% dei mammiferi e più del 12% degli uccelli. A quel punto, poi, chi sa che ne sarà dei poveri Anfibi.
"I cambiamenti climatici, la perdita degli habitat, determinata soprattutto dalla deforestazione, l’immissione di nuove specie in ecosistemi che non le possono sostenere ed il commercio illegale di specie protette, sono diventati la principale minaccia per la sopravvivenza di molte specie", osserva Massimiliano Rocco, responsabile del settore Traffic del Wwf.
Tra gli altri, l’orso polare diminuirà la sua popolazione del 30% nei prossimi 45 anni se le cose non prenderanno un’altra piega, mentre la popolazione di ippopotami del Congo si è ridotta di addirittura il 95% a causa della caccia alla carne ed all’avorio.
Finiremo per poter ammirare la natura “selvaggia” solo in grandi aree appositamente controllate, e avremo perso per sempre l’emozione di un incontro fortuito con un animale nel bel mezzo della foresta. Passando all’ambiente sottomarino, il 20% delle 547 specie di squali esaminate è in pericolo. Minacciata persino la misteriosa manta ed un terzo delle libellule esistenti.
Oltre all’etica che ci spinge a salvare la natura, bisogna considerare anche il fatto che la biodiversità ha un valore economico fortissimo. Circa il 10% delle attuali sostanze medicinali deriva da piante tropicali, e 3.000 piante hanno proprietà anticancro.
Un gran numero di specie vegetali contribuisce alla stabilità del terreno e delle coste, come si è visto dopo lo tsunami nel Sud-est dell’Asia o come si osserva continuamente quando fiumi di fango, un tempo frenati dalla presenza degli alberi, inondano i paesi superando argini cementati.
Cosa non meno importante, la natura dà un senso di benessere psicofisico che nelle città manca completamente. Diversi studi hanno dimostrato come pazienti sottoposti alla visione di costruzioni e grattacieli, variassero il proprio stato da una condizione di leggera ansia ad uno stato di benessere anche in seguito a visioni naturali di pochi millisecondi.
Anche se non è detta l’ultima parola, è necessario un profondo impegno di tutti i governi, specialmente dei paesi più industrializzati, per invertire questa tendenza.
Conservare i genomi congelati delle specie in via di estinzione, come stanno facendo fra gli altri l’American Museum of Natural History di New York ed il Museum of Natural Science della Louisiana State University, è certamente utile, ma non sarà mai possibile in futuro ricreare queste specie se non gli si fornisce per prima cosa un ambiente adatto alla sopravvivenza autonoma.
George Amato, della Wildlife Conservation Society, afferma addirittura che “questa tecnica di conservazione non ha alcun senso”.
|
|
La strategia migliore per conservare la biodiversità, quindi, è quella di proteggere le risorse in situ, attraverso misure conservative, sviluppo sostenibile e sicuramente la stabilizzazione del consumo e della crescita della popolazione.
I governi di tutto il mondo si sono impegnati già dal 2002 a ridurre significativamente la perdita della biodiversità entro il 2010, impegno riaffermato nel World Summit delle Nazioni Unite del settembre 2005. Ed ecco una buona notizia: la politica ambientale del governo Lula, stimolata da accordi internazionali, ha fatto sì che nel 2006 l'opera di disboscamento della foresta amazzonica sia scesa del 11%, grazie anche al calo del prezzo della soia.
Si calcola che la Terra abbia una “capacità portante” di esseri umani pari ad una popolazione di 13-15 miliardi. Al tasso di crescita attuale non ci vorrà molto per raggiungere tale cifra. Che accadrà dopo?
Fino ad oggi, dopo ogni grande estinzione la natura si è ripresa ed ha ricominciato il suo favoloso ciclo.
Ogni volta, però, la ripresa è stata condizionata dalla scomparsa della causa dell’estinzione, che nel caso della Sesta Estinzione è proprio l’uomo. In visione di questo ed altri disastri, forse è giunto il momento di rimboccarsi le maniche e salvare la Terra e noi stessi.
|
|
(23/10/2006)
|