In un grande ambiente disadorno e polveroso, che sembra essere l’interno di un vecchio casolare, un uomo tesse le lodi dei racconti fiabeschi e di come questi possano far apprezzare pienamente i sentimenti che mettono in risalto, come l’innamoramento, la fedeltà, la nobiltà d’animo, l’incantamento.
Egli è il capocomico di una squinternata compagnia che sta provando, ed è ormai a buon punto, la fiaba tragicomica di Carlo Gozzi per portarla un giorno, forse, sulla scena. Da qui muove l’adattamento drammaturgico de La donna serpente di Giuseppe Emiliani. La sua scelta metateatrale sottolinea l’atemporalità delle strutture umane - che la fiaba esplicita - in un contesto storico logoro, stantio, perennemente rinnovabile, che la scenografia vuole rappresentare.
Il potere evocativo del teatro, ed in particolare di questo teatro di fantasia ed immaginazione, viene esplicitato fin dall’inizio grazie alla farina con la quale il capocomico delinea la sacralità non oltrepassabile dell’immaginario spazio scenico. In quel cerchio si svolgono le prove di questo spettacolo che forse non andrà mai sulla scena, ma è necessario per chi voglia evocare sensazioni altrimenti inesprimibili.
Anche essendo un semplice pavimento polveroso e spoglio d’oggetti, lo spazio della messa in scena può diventare, grazie alla magia teatrale, quell’interregno dove tutto è immaginabile, dove gli eventi più inverosimili si concretizzano ai nostri sensi, attraverso l’immaginazione. Se poi la vicenda è fantasiosa e significativa, come quella del testo di Gozzi, il gioco è fatto.
Racconto di fate, di principi, di streghe, d’incantesimi, la donna serpente si oppone al teatro di realismo del Goldoni, del quale il Gozzi era coevo, e propone un allontanamento spazio-temporale dall’attualità dei fatti a scapito della rappresentazione della società borghese veneziana.
La vicenda a grandi linee è questa: Farruscad, principe di Terflis, durante una battuta di caccia s’imbatte in una cerva bianca, che si rivelerà essere una donna meravigliosa, Cherestanì, della quale s’innamorerà. Ella è in realtà una fata immortale, nata da un uomo sovrano del regno d’Eldorado e da una fata.
Dopo essersi sposati ed aver avuto due figli, Cherestanì chiede al re delle fate Demogorgone, per amore del suo amato, di rinunciare all’immortalità per condividere la sorte dello sposo. Egli le concede, momentaneamente, il permesso di diventare mortale a condizione che Farruscad non la maledica per otto anni ed un giorno.
Sarà proprio Demogorgone, però, che farà in modo che il principe, tormentato dall’identità della moglie, voglia scoprire chi lei sia, rompendo il patto fra i due, di cui egli è inconsapevole. Dovrà allora vivere tremende sciagure, esiliato dal suo paese, che scoprirà essere caduto in rovina, e lontano da sua moglie, improvvisamente scomparsa nel nulla.
Dopo essere venuto a conoscenza dei fatti ed aver scoperto i traditori, Farruscad dovrà superare tre terribili prove per liberare Cherestanì dal sortilegio, che l’ha resa un serpente, e riaverla accanto a sé per tutta la vita, umana e mortale. Gli attori sono tutti bravissimi e, oltre agli innamorati che sono interpretati da due donne –Erika Urban e Marta Paola Richeldi- spiccano le maschere della commedia dell’arte italiana: Pantalone, interpretato dal capocomico della compagnia –Marcello Bartoli- che entra ed esce dal teatro al metateatro, Brighella e Truffaldino.
luogo Teatro Valle, Via del teatro Valle 21, Roma
quando dall’11 al 22 Ottobre, ore 21
info06 68803794
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