SUPERMAN RETURNS - DUE RECENSIONI
TITOLO ORIGINALE: Superman Returnes REGIA: Bryan Singer CON: Brandon Routn, Kate Nosworth, James Marsden, Frank Langella, Eva Marie Saint, Parker Posey, Kal Penn, Sam Huntington, Kevin Spacey USA 2006 GENERE: Azione, Fantascienza DATA DI USCITA: 1 Settembre 2006
di Lorenzo Corvino ed Emanuela Graziani
Recensione di LORENZO CORVINO
VOTO: 6,5

Il film è costato 204 milioni di dollari, superato soltanto da King Kong (207) e da I Pirati dei Caraibi 2 (225). È un dato che non può non essere enunciato per primo quando si parla di operazioni simili: tuttavia se nei titoli che lo battono in termini di costo vi è un cast stellare di attori che rosicchiano una quota non indifferente del budget finale, in questa quinta avventura del più celebre dei supereroi dei fumetti, il cast è composto da volti sconosciuti. Se si esclude il cattivo Lex Luthor, interpretato dalla star premiata due volte con l’Oscar Kevin Spacey, che gioca ad emulare, a dire il verro non senza riuscirci, il personaggio incarnato da Gene Hackman negli anni Ottanta, con una serie di atteggiamenti, posture e ciondolamenti della testa, per gli altri, e per altri si intende ovviamente Clark Kent e Lois Lane, la Produzione ha pensato bene di optare per dei volti sconosciuti che permettessero al film di progredire sulla scia della continuità rispetto ai classici di qualche anno fa.

Questa differenza di cast artistico rispetto agli altri recenti blockbuster sopra nominati ci fa pensare che molto del budget è stato inevitabilmente e ovviamente dirottato sugli effetti speciali; tant’è che la sequenza in cui Superman ricompare letteralmente in modo plateale dinanzi al pubblico statunitense è un tripudio di effetti sonori e di catastrofismo post-11 settembre: un’ingegnosa trovata di trama, apparentemente finita in sé, che invece come si vede col progredire della vicenda apre perfettamente alla trama principale, in cui Superman – e con lui il regista Bryan Singer e gli autori degli effetti speciali visivi – sembra volerci dire che non esiste eroe più capace e intraprendente e mai domo che noi spettatori potremmo mai vedere al cinema: oltre qualsiasi Spider-Man o X-Men, Hulk o Batman.

Lo sconosciuto Brandon Routh che raccoglie l’eredità dello scomparso Christopher Reeve, alla cui memoria necessariamente il film è dedicato, è di fatto e indiscutibilmente un clone più giovane del mitico Superman anni Ottanta, e questa fantastica alchimia tra fisionomia e contenuti dell’intreccio facilitano non poco il piacevole e infantile rigurgito di sensazioni ormai sopite da tempo, tramite le quali ci affezionavamo al personaggio-attore della precedente tetralogia. Difatti, la gestualità del personaggio e le sue maniere estremamente cortesi, il modo in cui Singer inquadra Clark Kent e le battute dei dialoghi, finanche le situazioni della corposa e per nulla banale trama e il ritorno di un celeberrimo leitmotiv fanno sì che il film funzioni come un meccanismo che raramente troviamo così ben oliato nei molteplici esempi di questa ondata di film fumettistici di inizio millennio.

Probabilmente il merito in questo caso è stato collettivo: una Produzione che ha prediletto il coinvolgimento del pubblico e la continuità stilistica e contenutistica col precedete modello, piuttosto che inventare o eccessivamente attualizzare come la stessa Warner Bros. ha di recente fatto col Batman Begins di Chrisopher Nolan.

Ovviamente rispetto al modello originale questo film scandisce qualche spiegazione in più e spende qualche effetto speciale in più – vedere il proiettile che si accartoccia impattando la pupilla di Superman – per permettere allo spettatore contemporaneo di accettare che una figura dalle fattezze di essere umano voli senza alcuna tecnologia di supporto o mutazione genetica di alcun tipo; ma comunque la sostanza non cambia: nonostante abbiamo di fronte un uomo d’acciaio le difficoltà non mancheranno, e proverranno tutte dalla diabolica mente di un omuncolo calvo e mortale.

Il rimpianto che il film sembra chiaramente voler celare appena è quello di indurre lo spettatore statunitense e non solo a domandarsi durante e dopo la prima grande sequenza d’azione che cosa sarebbe stato il mondo con Superman al suo fianco quella mattina dell’11 settembre 2001; cinque anni fa appunto: e non a caso cinque sono gli anni in cui Superman è stato assente dalla Terra. Forse che l’attentato alle Torri Gemelle è stato un evento catastrofico che qualche terrorista ha organizzato in concomitanza della partenza improvvisa di Superman per Krypton? Ma l’umanità è sopravvissuta anche senza di lui in questi cinque anni dopo quei fatti: sarà per questo che gli sceneggiatori fanno vincere a Lois Lane il Premio Pulitzer con un articolo che s’intitola emblematicamente “Perché il mondo non ha bisogno di Superman”.


Recensione di EMANUELA GRAZIANI
VOTO: 7,5

Diretto dal regista Bryan Singer, che si è imposto all’attenzione del pubblico e della critica con “X-Men” e “X-Men 2”, “Superman Returnes”, ispirato alla celebre pellicola di Richard Donner con l’indimenticabile Christopher Reeve nei panni di Superman, riporta sul grande schermo, dopo ben 19 anni di assenza, le vicende del supereroe mai dimenticato, l’uomo di Kripton che sapeva volare.

Dalla sua prima comparsa in un fumetto dei Comics nel 1938, Superman è rimasto nella cultura popolare come simbolo universale dell’ideale del genere umano. La sua forza, la sua vulnerabilità e il suo profondo senso di giustizia alimentano questa esistenza perfetta da sempre, l’unica destinata ad essere un esempio per la razza umana. Con stile elegante ma profondamente metaforico, il Superman di Singer si innesta nell’animo umano con forza travolgente, quasi imbrigliabile. Il semi-Dio Kal-EI, inviato dal padre a vivere sulla Terra per ricordare a tutti gli uomini che sono capaci di grandezza, è fotografato dall’obbiettivo “umano” di una macchina da presa attenta a sottolineare nelle movenze, nell’atterraggio e nell’ascensione in verticale, un chiaro riferimento cristologico all’amore e al sacrificio.

La pellicola di Singer trova numerosi punti di forza a partire dalla messa in scena delle debolezze di Superman, tanto da insinuare nell’eroe dall’essenza perfetta, l’esistenza di una profonda vulnerabilità ai sentimenti e alle passioni umane, un espediente molto valido nel descrivere il coinvolgimento tattile e amoroso del supereroe con la specie umana. L’estrema intensità con cui Kal-EI osserva i movimenti del viso e delle labbra socchiuse di Loris Lane, la donna amata, richiama alla mente le parole che furono di Marlon Brandon nei panni di Jor-EI nel film di Donner: “Anche se sei stato cresciuto come un essere umano non sei uno di loro. Sono un grande popolo, Kal-EI. Vorrebbero esserlo. Ma non hanno la luce che illumini loro la strada. Per questo soprattutto, la loro disposizione al bene, che ho mandato te….il mio unico figlio”.

Nell’affermare la sua unicità e, al contempo, la sua diversità dagli esseri umani, Superman porta sulle sue spalle il fardello di un mondo disinnamorato ma ancora fiducioso, che non ha smesso di sognare il ritorno in un tempo migliore per tutti i popoli del mondo. Le scene notturne dell’eroe in volo nei cieli di Metropolis, la città che tanto ricorda l’aspetto visionario della New York post 11 Settembre, sembrano, per la loro fotografia avvolgente ed onirica, rubate al vento e a quella tiepida brezza che sussurra parole di speranza.

C’è allora qualcosa di straordinariamente ipnotico nella figura dell’eroe più celebre del globo, nel suo apparire e scomparire tra le stelle e i pianeti del sistema solare, tanto da ricordare quella galassia oltre la quale non ci è dato osare. Un film da vedere per il suo spiccato senso umano e sociale, per l’aspetto più propriamente spettacolare e visivo, ma ancora di più per chi scrive e tutti coloro che da tempo aspettavano il suo ritorno.


(05/09/2006)