SLEVIN - PATTO CRIMINALE. TRE OPINIONI
TITOLO ORIGINALE: Lucky Number Slevin REGIA: Paul Mcguigan CON: Josh Hartenett, Morgan Freeman, Ben Kingsley, Lucy Lui, Stanley Tucci, Bruce Willis USA 2006 GENERE: Thriller
di Lorenzo Corvino, Emanuela Graziani e Andrea Boretti
RECENSIONE DI LORENZO CORVINO
VOTO: 5,5

Slevin è un ragazzo che dopo una serie di sfortune (fidanzata fedifraga, licenziamento, furto del portafoglio) incappa nella peggiore delle sue giornate: va a New York a trovare un amico per cercare ospitalità e lui non solo non si fa trovare, ma praticamente gli lascia in eredità tutti i suoi guai. Infatti due coppie di scagnozzi alle dipendenze di due differenti malavitosi vengono a prelevarlo in due differenti momenti della stessa giornata per pretendere da lui, scambiato per l’amico datosi anzitempo alla fuga, l’estinzione dei rispettivi debiti. In tutto ciò si inserisce una vicina di appartamento impicciona e carina che lavora all’obitorio, un killer triplogiochista, un cavallo da corsa prima dopato e poi avvelenato, una scommessa vincente e qualcosa che si chiama all’incirca “mossa Kansas City”.

Un film eclettico che mescola diversi generi, che si apre come un rutilante gioco del caso, che diventa una commedia degli equivoci, che combina continuamente poliziesco e giallo, che cerca il movente da cui tutto ha origine da un fatto di cronaca nera, drammatico e commovente allo stesso tempo, e che si conclude con l’effetto sorpresa.

Quando si combinano elementi fra loro disparati e si cerca di farli convergere a tutti i costi vengono fuori delle trame a volte ricche e intriganti, altre volte delle accozzaglie poco convincenti; entrambi i risultati hanno in comune il fatto che riescono comunque a sorprendere, a catturare l’attenzione, come a voler indurre chi guarda a chiedersi necessariamente: ma dove vuole andare a parare? Per cui una volta che ci si trova alla multisala e si è scelto questo film da vedere perché quello per cui inizialmente si era optato aveva liberi soltanto i posti laterali di prima fila, effettivamente del tutto disgustati non è detto che si esca, ma pur sempre e certamente privi di un qualcosa che possa lasciare, nel nostro ricordo, il segno di una bella serata al cinema.

Questo film potrà piacere agli amanti a tutti i costi del genere, gli stessi spettatori, per intenderci, che si entusiasmano per prodotti come Snatch – Lo strappo e Lock & Stock – Pazzi scatenati, o si legano indissolubilmente alla serie degli Ocean’s, ma non a chi rimpiange il gusto e le atmosfere, la tempistica dei dialoghi e il pizzico di cinismo ribelle di classici come Sciarada (1963) con Audrey Hepburn e Cary Grant e La stangata (1973) con Paul Newman e Robert Redford .

Sebbene nel film ci siano continue citazioni di film, di possibili – ma lontanissimi – modelli di riferimento, molti dei quali sono avventure di 007, il film non riesce ad avere una sua identità propria, sembra piuttosto prendere vita dall’idea per un cortometraggio gonfiata fino a trarne una storia sufficientemente complessa e ricca di sorprese. Quel che non manca sono, difatti, i colpi di scena, quasi nulla invece la suspense e poco incisiva la dose di comicità che si è voluta infondere nel patetico tentativo di rendere i personaggi se non psicologicamente credibili almeno divertenti e pertanto amabili.

Quel che funziona meglio del resto è, nella prima parte, il duetto di giovani e affascinanti star Josh Hartnett e Lucy Liu: a lei vengono affidate le frasi frutto di uno sforzo creativo maggiore, a lui il ruolo di sex symbol, impacciato e tuttavia troppo bello per non perdonargli tutte le goffaggini.


RECENSIONE DI EMANUELA GRAZIANI
VOTO: 9,5

New York. A causa di uno scambio di identità Slevin (Josh Hartnett) rimane coinvolto nelle guerra ordita da due capi criminali nemici: Il Rabbino (Ben Kingsley) e il Boss (Morgan Freeman). Slevin è costantemente sorvegliato dall’inflessibile detective Brikowski (stanley Tucci) e dallo scellerato assassino Goodkat (Bruce Willis). Per riuscire ad uscirne vivo Slevin dovrà tramare un’ingegnosa congiura.

Il film diretto dallo scozzese Paul Mcguigan, già autore dell’eccentrico Gangster Namber One, un crime thriller con Paul Bettany e dell’apprezzato Appuntamento a Wicker Park con Josh Hartenett, torna alla regia con una pellicola vincitrice del Cavallo di Leonardo alla sesta edizione del MIFF, Milano Indipendent Film Festival che ogni anno assegna il premio speciale al miglior film del cinema indipendente. L’estrema raffinatezza del linguaggio e la dinamicità dell’intreccio narrativo rendono la pellicola capace di fondere insieme stile e qualità registica, metamorfosi e criterio visivo. Nell’affermare la sua unicità, il regista Paul Mcguigan, dimostra di possedere una brillante gestione della macchina da presa, stimolata dall’avvolgente fotografia di una livida New York anni 90, catturata nella sua più profonda essenza, come città che ama e che odia.

Con uno stile a metà tra la commedia e il dramma, Slevin-Patto Criminale sembra puntare sulla centralità dei suoi personaggi irriverenti, figli di una New York innamorata, procreatrice delle diversità razziali ma anche vittima di profonde lacerazioni etniche e territoriali. Per un errore d’identità, infatti, Slevin è incolpato di un omicidio che è opera della criminalità organizzata. Fra mille vicissitudini, tra cui la conoscenza di un’energica “medico legale vicina di stanza”, il giovane sarà protagonista di un piano criminale alquanto nefasto e vendicato. Nei suoi occhi scuri, avvolti fra le folte ciglia, scorgiamo un’anima tumultuosa, ma incredibilmente calma, capace di attirare a sé lo spettatore in una fredda compenetrazione fisica, diventandone la guida.

Premiato come Miglior attore protagonista al Miff di Milano, Josh Hartnett è l’autentica rivelazione del film che, a tratti spassosamente kitsch, sprigiona quel senso di paranoia irriverente di una vita vissuta al limite. La pellicola di Mcguigan trova numerosi punti di forza a partire dalla straordinaria messa in scena delle situazioni “private” tra il protagonista e la bella Lindsay. Supportate da un montaggio tagliente e pittorico, le scene d’amore sono costellate da un profondo senso di intimità e di tenerezza, un espediente molto valido nel descrivere il coinvolgimento amoroso all’interno di un intreccio narrativo così complesso.

La carnalità è presente in ogni piccolo tocco della mano sulla pelle, in ogni serrato movimento delle labbra, desiderose di sussurri, respiri e caldi brividi. C’è allora qualcosa di ipnotico nella regia di Mcguigan, nella gestione degli spazi e dei personaggi, tanto da rivelare una genialità tattile straordinaria. La bravura del regista è particolarmente evidente anche nella scena finale, quella ripresa a 180 gradi che muove dal Boss alla sua finestra, attraverso la strada, rivelando lo Sky-line di New York, fino ad arrivare alla finestra del Rabbino.
Un film sorprendente, che alterna vari stili di regia e di intreccio narrativo, che ispira al sentimento pur vietandone uno sviluppo romantico e scontato, che cerca un costante senso della vita umana negandone però la preziosità, che domina l’anima e che santifica l’amore per sacrificarlo all’odio. Un film assolutamente da vedere.


RECENSIONE DI ANDREA BORETTI
VOTO: 7,5

Uno scambio di persona e una serie infinita di coincidenze fanno di Slevin (Josh Hartnett) l’ago della bilancia di una guerra tra le due bande criminali più importanti di New York. Un thriller delle coincidenze e dei doppi sensi in cui ogni dettaglio è importante.

Di Slevin si può parlare partendo da diversi punti di vista. C’è lo Slevin, del supercast di stelle che a partire dal fuori classe Bruce Willis, killer perfetto, arriva al bel Josh Hartnett passando per i navigati e insuperabili Morgan Freeman e Ben Kingsley ottimi nel loro ruolo di boss della mala prigionieri e vittime delle proprie paure. Una menzione va fatta anche a Lucy Liu attrice mai pienamente esplosa e anche questa volta in un ruolo simpatico e azzeccato ma poco incisivo.

C’è poi lo Slevin film thriller, un genere da sempre sulla cresta dell’onda e per questo difficile da affrontare senza rischiare di scadere nella banalità. Il film di McGuigan invece è ben studiato, perfetto nella sceneggiatura, le cui linee narrative si intrecciano, senza mai sbavare, al ritmo di una continua ed efficace alternanza di tensione, sentimenti, ironia e un giusto grado di sangue e violenza.

Infine c’è lo Slevin di Paul McGuigan regista. Lui, poco conosciuto ai più, aveva già dimostrato il proprio valore con opere quali l’eccellente Gangster N°1 e The Acid House e ora si conferma con questo che è molto probabilmente il suo film migliore. La firma di McGuigan è evidente soprattutto nel montaggio, frenetico al punto giusto, e nelle transizioni, sicuramente d’effetto ma mai fuori luogo e funzionali alla narrazione. Un regista a cui piacciono le storie intense quindi, e al quale altrettanto intensamente piace raccontarle.

Anche la tempestività con cui il film è uscito nelle sale sembra perfetta, ovvero appena dopo la penuria cinematografica estiva, da sempre difetto insormontabile dell’industria cinematografica italiana, e appena prima l’uscita dei blockbuster di settembre, evitandone così la impari concorrenza pubblicitaria. Insomma Slevin è un ottimo film, forse dei migliori usciti quest’anno, al quale poco, ma veramente poco può essere rimproverato. Un film che affianca ottime interpretazioni ad uno specialista di genere come Paul McGuigan del quale ormai aspettiamo con ansia il prossimo film.


(09/09/2006)