IL COLORE DEL CRIMINE
TITOLO ORIGINALE: Freedomland REGIA: Joe Roth CON: Samuel Lee Jackson, Julianne Moore, Edie Falco, William Forsythe USA 2006 DURATA: 116’ GENERE: drammatico VOTO: 7
di Giancarlo Simone Destrero
Siamo a Dempsy, nel New Jersey. Brenda Martin, una trentasettenne bianca, si presenta al pronto soccorso del Medical Center in evidente stato confusionale, con le mani ferite ed insanguinate. Sostiene di essere stata aggredita e derubata della propria automobile da un ragazzo di colore in una stradina fuori mano della cittadina. Il caso viene affidato a Lorenzo Council, l’ispettore di polizia del distretto dove è avvenuta l’aggressione. Egli però, dopo aver superato le reticenze della donna ed aver saputo della presenza in macchina del figlio di lei, il piccolo Cody, non è più tanto sicuro della veridicità del racconto fatto dalla donna…

Uno straordinario incontro tra due personalità molto diverse, che tuttavia condividono molto di più di quello che si potrebbe pensare all’inizio del film. Chiaramente si sta parlando dei due protagonisti del bel film di Joe Roth: Brenda, impersonato da una bravissima Julianne Moore, e “papà” Lorenzo, interpretato da Samuel Lee Jackson. Il presunto rapimento, sullo sfondo di una società multietnica dove cova un latente razzismo, muove la vicenda con le tipiche caratterizzazioni psicologiche del thriller. Un poliziotto onesto, coerente, limitato dai propri attacchi d’asma, che conosce a menadito il quartiere malfamato che controlla, una donna in stato di shock, con precedenti problemi di droga, che sembra nascondere qualcosa e che diventa sempre più ambigua col passar delle ore, un bambino di quattro anni che sembra essere scomparso, il coro delle madri volontarie per la ricerca dei bambini scomparsi.

Il contesto è il perenne scontro razzista nordamericano tra bianchi e neri, le disparità di trattamento e di procedura che la polizia adotta a seconda che, come sospettato, si tratti di un individuo dalla pelle bianca o di un individuo di colore. Anche, e soprattutto, quando c’è di mezzo un bambino. La ricerca costante di un senso, per questa vita, da parte di entrambi i protagonisti. Ricerca di qualcosa che all’inizio del film l’ispettore Council sembra sicuramente aver avvicinato, grazie al suo lavoro, a come gestisce i rapporti con gli altri, con la sua apparente tranquillità interiore, rispetto alla situazione di Brenda, totalmente fuori rotta, disagiata, sull’orlo del baratro, che si disprezza tanto da infliggersi del male e che sembra destinata, come in passato è stata solita fare, all’unica via d’uscita da questa vita che non le appartiene: l’oblio della droga.

Eppure, anche se diversamente, i due hanno aggiunto senso alla propria vita in un modo similare. L’epicentro vitale che accomuna le due esistenze è stata l’esperienza genitoriale, che ha permesso, all’una, di non sentirsi, per una volta nella vita, inferiore agli altri e capace solamente di fallimenti e, all’altro, nonostante e anzi forse in virtù della sua incapacità di educare correttamente il figlio Jason finito in prigione per rapina, di coltivare la propria fede in Dio e considerare come propri figli, il che ovviamente implica tutte le responsabilità paterne connesse, tutti i ragazzi con i quali entra in contatto nell’arco della sua esistenza. Infatti, nelle palazzine del quartiere popolare Armstrong, dove lui è nato e cresciuto, egli non è più l’ispettore Council, ma diventa per tutti i ragazzi neri del posto “papà” Lorenzo.


Lo stile del film è comunque funzionale allo sviluppo delle emozioni, anche se non fa nulla per non risultare ridondante nelle fasi emozionali della vicenda. Il montaggio diventa un pò troppo serrato e concitato nei momenti d’agitazione narrativa, e recitativa, mentre l’uso insistente del rallenti in alcune scene sottolinea qualche rivelazione o riflessione che sarebbe ugualmente risultata evidente. Il rischio è quello di sottostare troppo alle regole delle odierne messe in scena -da tempi di videoclip, così come le immagini dei titoli di testa del film che sembrano il trailer dello stesso- sempre che si consideri il cinema un’arte capace di attraversare, incolume, il basso discontinuo stilistico delle mode e degli stili, non cedendo nulla a questo, a beneficio di un’assoluta continuità di tensione artistica nella necessità interiore dell’autore.

Credo che il cinema di grandissimi artigiani come Michael Mann o Spike Lee abbia contribuito non poco alla messa in scena dell’opera di Roth. Non saranno i vecchi thriller anni 70’ di Schlesinger o Zinneman, tanto per fare qualche nome, ma siamo sempre su un buon livello di cinema. Infine come non citare la meravigliosa scena dello scontro tra contestatori e polizia, dove Lorenzo cerca di fare da mediatore tra le due parti, tentando di farle incontrare e si ritroverà a terra, ferito alla testa da una manganellata, mentre osserverà l’immagine di un ragazzo, con fiamme sullo sfondo, che poco prima aveva fermato mentre stava per dare fuoco a degli scatoloni di cartone. L’impressione è quella che egli si domandi se abbia fatto la scelta migliore nel tentare, per tutta la vita, di promuovere un dialogo, di mediare una situazione che, forse, è tanto impossibile da cambiare senza violenza quanto ingiusta nell’apparente sensazione di liberazione che un gesto dirompentemente violento può generare.


(17/07/2006)