UNITED93. RICORDANDO L'11 SETTEMBRE
TITOLO ORIGINALE: United 93 REGIA: Paul Greengrass CON: Christian Clemenson, Trish Gates, Polly Adams, Cheyenne Jackson FRANCIA/UK/USA 2006 DURATA: 91 minuti GENERE: drammatico VOTO: 8,5
di Lorenzo Corvino
Una mattina di settembre come tante altre agli inizi del XXI secolo un aereo di linea statunitense, lo United 93, decolla per il suo solito viaggio di circa cinque ore. Tuttavia quella mattina a bordo ci sono dei terroristi che non hanno semplicemente intenzione di dirottare il mezzo, bensì di prenderne possesso per andare a schiantarsi contro la Casa Bianca e sanno di potercela fare, poiché già altri due aerei di linea con a bordo altri loro compari hanno raggiunto i loro bersagli: le Torri Gemelle a New York. Difatti è in corso un vero e proprio attacco agli Stati Uniti.

L’11 settembre 2001 l’Umanità intera ha assistito ad uno di quegli avvenimenti di portata storica in grado da soli di cambiare per sempre un’epoca, un punto di non ritorno. Tale verità è talmente evidente che siamo in grado appena 5 anni dopo di storicizzare l’evento – probabilmente prematuramente, ma se succede è perché si sente il bisogno da una parte di archiviare e dall’altra di capire –, e di leggerne in chiave antropologica le conseguenze e la portata. Questo film si riassume in una sola parola: drammatizzazione.

E non poteva realizzarlo che questo regista anglosassone, Paul Greengrass, da 16 anni attivo tra Regno Unito e Stati Uniti, qui al suo decimo lungometraggio, cinque per la TV e altrettanti per il cinema, spesso impegnato in storie che sono appunto la drammatizzazione di eventi realmente accaduti, recenti e documentati, spesso controversi e irrisolti nei loro strascichi di dolore e nell’ incertezza dei fatti. Da noi in Italia un tempo avevamo Francesco Rosi e Damiano Damiani; oggi, con stili completamente opposti e risultati altrettanto agli antipodi, abbiamo il rigore di un Paolo Benvenuti (Segreti di Stato) e la spettacolarità di stampo americano, spesso soltanto emulata in superficie, di un Renzo Martinelli (Vajont, Piazza delle Cinque Lune).

Lo stile di Greengrass, già evinto nel bellissimo Bloody Sunday del 2002, è improntato su un uso della macchina a mano che cerca con dosata frenesia di raccogliere tutto il possibile nell’immagine, mantenendo lo sguardo sempre ad altezza d’uomo, tenendo più persone possibili nella stessa inquadratura, prolungandola senza rinunciare al ritmo; uno stile che restituisce l’idea di una cronaca che si fa sul momento davanti al nostro sguardo, con una recitazione che si fonda inevitabilmente su un certa dose di improvvisazione, con volti di sconosciuti, attori che devono incarnare le donne e gli uomini comuni, niente eroi e niente sofismi.


Questa è la drammatizzazione secondo Greengrass: la storia che si costruisce davanti ad una cinepresa scrutatrice e al contempo curiosa, senza dimenticarsi che sono pur sempre gli esseri umani a prendere le decisioni o ad essere gli ignari testimoni di fatti di portata cosmica.

Il film si imposta come una sorta di Spy History, come ci piace definire il genere in cui si inscrive: ossia quel genere di film di spionaggio e di fantapolitica (spy story, appunto), a volte corale come in questo caso, concepito per raccontare storie di singoli individui capaci, anche loro malgrado, di inserirsi nelle più grandi dinamiche degli eventi geo-politici globali e reali, tra ipotesi di complotto e reali fatti di cronaca, tra romanzeschi intrecci thrilling e memorabili appuntamenti con la Storia.

La tensione è fortissima proprio perché si gioca con l’attesa di un evento sconvolgente che inevitabilmente lo spettatore sa già che accadrà da un momento all’altro e come si concluderà: tutto è un montaggio parallelo tra diverse sale di controllo di importanti aeroporti e centri radar, tra i corridoi dell’United 93 e una base militare. Film di interni a effetto claustrofobico che, nonostante narri fatti che lo spettatore sa come andranno a finire, cattura l’attenzione perché racconta “i dietro le quinte” di chi fra gli addetti ai lavori – piloti, controllori di volo, hostess, passeggeri, militari – ha vissuto in diretta qualcosa che nessun protocollo di emergenza aveva mai previsto.

Dunque una serie di punti di vista che il cittadino comune non ha conosciuto in merito a quegli eventi. L’immedesimazione è altissima, la verosimiglianza è un fattore di altrettanto coinvolgimento. Per essere il primo film sull’11 settembre 2001 è anche un film che si caratterizza per l’assenza di retorica. Difficile da eguagliare in questo.

Tra i dialoghi frenetici che emergono si possono cogliere due delle argomentazioni che avvallerebbero quanti sostengono che l’11 settembre abbia un lato oscuro tutto da chiarire ancora, dal quale potrebbe emergere una complicità dello stesso Gabinetto di Governo e della Casa Bianca: si fa riferimento al fatto che in quelle fatidiche ore solo pochissimi caccia erano presenti a pattugliare i cieli d’America mentre tutti gli altri erano stati mandati in missioni di esercitazioni in una quantità inspiegabilmente maggiore di tutte le altre volte. Inoltre c’è il fatto che dei quattro aerei ufficialmente schiantatisi quel giorno nel film si parla poco o nulla e con pochi dati del terzo, quello finito sul Pentagono, che, come sappiamo, a molti è apparsa più che altro un’esplosione.

La sequenza finale è drammaticamente epica, concitata e meravigliosamente dinamica, piena di pathos e di un triste rimpianto, in cui un taglio di montaggio su nero alla fine ci ricorda che dobbiamo riprendere fiato e respirare ancora, noi.


(11/07/2006)