Solo sedie vuote. E un gran bisogno di dire senza avere niente da dire e nessuno che ascolti. Una tragica farsa. Una sperimentazione di meccanismi teatrali. Sull’argomento esiste molta letteratura critica, sia da parte dell’autore sia dei commentatori. Il vuoto dentro e fuori e un gran da fare per non accorgersene.
L’invenzione teatrale è folle e geniale: attraverso gli unici due attori in scena, dare vita a moltissimi personaggi invisibili. "Mediante il linguaggio, i gesti, la recitazione, gli accessori, esprimere il vuoto. Esprimere l’assenza. Esprimere i rimpianti, i rimorsi. Irrealtà del reale. Caos originario" scrive Ionesco. Il quale si lamentava dei limiti psicologici, sociali e metafisici del teatro a lui contemporaneo.
Con questo spettacolo, fra i tanti, cercherà di rompere gli argini, senza offrirà soluzioni agli interrogativi posti sulla scena.
Ionesco, quindi, non farà altro che gridare il suo smarrimento.
Paure osteggiate con infantilismo. Tanto che i primi spettatori non accolsero niente bene le sue opere. Fino a quando, nel 1958, Orson Welles scrisse, in merito alla condizione dell’artista, che Ionesco avrebbe dovuto combattere al fianco di tutti loro e scendere nel loro basso mondo troppo umano.
In alcuni passi, iniziano conversazioni silenziose tra personaggi invisibili e i due protagonisti si scambiano cenni che rendano comprensibile il tutto. La scena rimane deserta, con le sedie, il podio, il pavimento coperto di stelle filanti e coriandoli. La porta del fondo è spalancata sul buio totale . Per fare un esempio.
Siamo una piccola umanità ricurva su se stessa. I nostri interlocutori sono fittizi. Perché negli altri cerchiamo noi stessi. L’ossessione narcisistica dell’io.
Oppure, peggio, non abbiamo niente da dire. Così ci circondiamo di nulla e parliamo all’oblio. L’oblio di noi stessi.
L’incomunicabilità inter nos. Ionesco mette in scena le paure ancestrali. Di cui, troppo spesso, crediamo di poterci dimenticare. Siamo prigionieri in gabbie invisibili. E quelle gabbie sono le nostre anime, mute. Sorde. Solo anime, senza salvezza.
In un faro abbandonato. Un po’ come se, dell’amico immaginario che avevamo da piccoli, noi facessimo il nostro mondo. E la gente fuori fosse solo l’indegna cornice del quadro della nostra vita. Chi è senza peccato, scagli la prima pietra.
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