La famiglia Doyle, madre e due figli, si trasferisce in un paesino della California per riavviare un’impresa di pompe funebri gestita, in passato, dalla famiglia Fowler. Della suddetta famiglia, in paese, si vociferano tante notizie tra cui anche di un erede, dichiarato morto all’età di otto anni. L’ultimo Fowler potrebbe essere ancora vivo e potrebbe vivere ancora nella proprietà dove ora si è trasferita la famiglia Doyle...
Labbro leporino. Pelle bianca. Occhi sensibili alla luce. Ecco l’ultimo filgio di Tobe Hooper che, come sappiamo, non è stato molto fortunato con la sua prole. Nei lontani anni ottanta partorì Lathorface, con la sua immancabile motosega. Poi, fu la volta di Poltergeist. E, attraverso peripezie e fallimenti cinematografici, approda a Bobby Fowler.
Siamo in un paese rurale della California. Una casa cadente. Fango, nel terreno antistante. E una veduta panoramica sul cimitero del paese.
La signora Doyle cerca di avviare l’ormai fallita impresa di pompe funebri del luogo. I suoi due figli la seguono nell’impresa, senza troppo malcontento. I personaggi vengono presentati senza pretese. Vengono assegnate le parti. Si inizia con il gioco dei ruoli. Ognuno al suo posto. Con ombre che, di notte, corrono fra le lapidi. Con una strana muffa che infesta le pareti ingiallite della casa.
Sbarre alle finestre dell’ultima stanza, ricavata nella soffitta. E poi, tutto finisce. Si perde nei rivoli di sangue che, goccia a goccia, finiscono nello scolo della camera funebre. Nel vomito infetto che contagia i vivi e li imprigiona in una non morte. Una madre che alza il macete contro i propri figli. Un bambino deforme che gioca con teschi umani e mangia caramelle. Un’alga che infesta i sotterranei della casa.
Nonostante possano sembrare un buon numero di ingredienti, la loro comunanza fa disperdere la trama del film. Ci si perde dietro le avventure di un trio di debosciati che si diverte a profanare le tombe. Ci si perde dietro le nevrosi dello sceriffo del paese. Ci si perde dietro una tomba abitata da un bambino che i genitori hanno rifiutato perché deforme. Ci si perde dietro i morti che tornano in vita ed i vivi che barcollano in uno stato di possessione. Ci si perde dentro un “poteva fare di meglio”.
Si sa che non è facile crescere un figlio difficile come l’horror.
Ci vuole cura. Bisogna chiuderlo in una stanza buia, allevarlo con fiele e violenza, alimentarlo con latte artificiale fin dal suo primo vagito. E, benché Hooper sia uno dei padri più degni del genere, sembra aver fatto il suo tempo.
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