Se guardiamo attentamente la locandina ufficiale di questa 59esima edizione del Festival di Cannes appena conclusasi, ci troviamo di fronte alla sagoma in controluce di Maggie Cheung, l’attrice protagonista del film culto di qualche anno fa da cui quel fotogramma è tratto, ossia In the Mood for Love: ebbene, per quanto insolita è stata la scelta di usare come immagine ufficiale un momento di un film in particolare, il cui regista per giunta era il presidente della giuria che avrebbe decretato la Palma d’Oro del festival, alla luce dei responsi definitivi di domenica sera, possiamo veramente leggere in quella locandina una sorta di presagio.
Difatti sono saltati tutti i pronostici: primo fra tutti quella regola non scritta, ma evinta dalla pratica di questi festival che si protraggono per una decina di giorni, secondo la quale il film vincitore è sempre tra gli ultimi presentati in concorso, per via di un ricordo più vivido che resta impresso nella mente dei giurati rispetto a titoli esaminati oltre una settimana prima. Ciò avviene perché i giurati avrebbero meno tempo per sedimentare le emozioni della prima ora in merito agli ultimi titoli a cui hanno assistito.
E invece va a vincere un film passato in concorso – pensate – il primo giorno, The Wind that Shakes the Barley di Ken Loach (GB). Inoltre sono saltati i pronostici relativi a quello che sarebbe dovuto essere il film vincitore dato per certo – e che in questi casi si definisce poi vincitore morale – ossia il Volver di Pedro Almodovar che alla fine si è aggiudicato il premio per la sceneggiatura e quello per la migliore attrice, che è andato, a dire il vero, a tutto il cast femminile di ben 6 attrici protagoniste (tra le quali la conturbante e sensuale Penelope Cruz, nel più malizioso dei suoi ritratti di donna, credibilissima nel ruolo di madre sola e intraprendente).
Simmetricamente anche il premio al miglior attore è andato all’intero cast maschile del film Indigènes di Rachid Bouchareb (Algeria). E anche qui a vincere non è stato Gérard Depardieu che tutti – i francesi soprattutto – davano come vincitore dopo la sua performance come cantante nel film Chanteur.
Per questo ritorniamo al discorso fatto in precedenza sulla locandina del festival: la silhouette di Maggie Cheung è carica di mistero, viene dalla luce rossastra sullo sfondo e si immerge nella penombra che diventa oscurità piena. Come a ribadire l’imperscrutabilità del responso di una giuria, e in particolar modo del suo presidente di turno, per quest’anno il regista Wong Kar Way, che inevitabilmente direziona i premi a partire dai propri gusti, facendosi ovviamente aiutare dl resto della giuria. E non di certo i membri selezionano i titoli da premiare a partire dall’acclamazione popolare e/o giornalistica di cui si sente parlare quando durante la Kermesse ognuno tira l’acqua al proprio mulino contando i minuti di applausi...
Perciò nulla di più spiazzante come quest’anno: il risultato finale, a detta di tutti i giurati, ha ottenuto l’unanimità sin da subito. Stiamo parlando del film di Ken Loach The Wind that Shakes the Barley (GB). Un film dai temi forti legato al dramma emblematico di cosa significa essere fratelli per natura e nemici a causa di una ragione artefatta come la guerra: siamo nell’Irlanda dei primi del Novecento, quando alla guerra contro l’Inghilterra seguiva la logorante guerra civile. Una storia sull’Irlanda, una terra che Loach conosce bene, che lo porta da inglese a porsi in veste di grillo parlante della sua cultura. Da noi il film verrà distribuito dalla BIM in autunno.
Un altro ambitissimo premio che Cannes assegna è quello alla regia – premio per esempio che a Venezia viene assegnato di rado –: quest’anno è toccato al messicano Alejandro Gonzalez Inarritu per la pellicola Babel. Generalmente è un premio che prelude ad una futura Palma d’Oro; come difatti è accaduto al nostro Nanni Moretti: nel 1994 vinceva il premio per la regia con Caro Diario e nel 2001 la Palma d’Oro con La stanza del figlio.
E a proposito di Moretti, va detto che nonostante Il Caimano abbia avuto notevoli apprezzamenti sia di pubblico che di critica il film non ha vinto alcun premio. Poco male, dopotutto l’importante a Cannes è esserci, poi ogni giuria dà responsi che saranno sempre opinabili, per questo o quest’altro motivo. Ci consolano due belle notizie: una è quella relativa al successo sincero riscosso dall’opera prima di Kim Rossi Stuart, Anche libero va bene; l’altra è la dichiarazione dei giurati in conferenza stampa dopo la proclamazione dei premi: si è parlato di Paolo Sorrentino, il regista de Le conseguenze dell’amore, e del suo L’amico di famiglia che fino all’ultimo, a detta dei giurati, era in lizza per il premio alla regia. Anche se soltanto virtuale è pur sempre una bella soddisfazione.
Palma d'Oro
Ken Loach, The Wind that Shakes the Barley (GB)
Miglior Regia
Alejandro Gonzalez Inarritu, Babel (Messico)
Grand Prix
Bruno Dumont, Flandres (Francia)
Premio della Giuria
Andrea Arnold, Red Road (GB)
Migliore Interpretazione Femminile
Il cast delle attrici di Volver di Pedro Almodovar (Spagna)
Miglior Interpretazione Maschile
Il cast dei attori del film Indigènes di Rachid Bouchareb (Algeria)
Migliore Sceneggiatura
Pedro Almodovar, Volver (Spagna)
Caméra d'Or
12:08 à l'Est de Bucarest di Corneliu Porumboiu (Romania)
Fipresci / Premio della Critica Internazionale
Les Climats di Nuri Bilge Ceylan (Turchia)
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