In Giappone è in arrivo un nuovo modo di fare cinema. Il cinema a odori. La più importante società di telecomunicazione giapponese, la NNT, ha apportato modifiche a talune sale cinematografiche affinché gli spettatori possano sentire gi odori in base alla scena che si svolge sullo schermo. L’innovazione, non accolta con entusiasmo da tutti, costerà un piccolo sovrapprezzo al biglietto. Sembra, però, che gli spettatori giapponesi lo paghino volentieri. L’esperienza cinematografica si avvia ad essere sempre più totalizzante. Coinvolgendo, piano, tutti i sensi.
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La NNT introduce un nuovo modo di pensare al cinema. Un’esperienza sempre più totalizzante. Che si avvia a coinvolgere tutti e cinque i sensi. E’ la volta dell’olfatto. Esordì con La fabbrica di cioccolato di Tim Burton, durante la cui proiezione si diffuse nella sala una gradevole aroma di cacao. Ora è la volta de Il Nuovo Mondo di Terrence Malick.
Questa novità nel fare cinema non è poi così nuova: negli anni cinquanta, infatti, vennero sperimentati alcuni sistemi per introdurre l’elemento olfattivo nella sala cinematografica. Ricordiamo, per esempio, l’aromarama per cui si diffondevano aromi nella sala attraverso gli impianti di areazione; l’odorama, cartoncini profumati distribuiti all’inizio dello spettacolo ad ogni spettatore e lo smell-o-vision, cioè dei tubi attaccati alle poltrone in cui lo spettatore avrebbe dovuto respirare. Questi esperimenti tecnologici non conobbero grande successo poiché distoglievano l’attenzione dal film. La NNT ha trovato un sistema rivoluzionario per promuovere l’innovazione senza sconvolgere gli equilibri tra spettatore e pellicola, nonché i precari equilibri del mercato economico.
Sembra che, merito dei costi ridotti, la NNT abbia applicato l’impianto anche ai lettori di casa e stia cercando di estendere la nuova esperienza olfattiva anche agli home video. Un bel salto di qualità. Nonostante ci sia chi non vede di buon occhio questa innovazione, il cinema ne può solo giovare. Basti pensare che dal cinema muto, cioè dalle sole immagini, si è passato al sonoro. Anche allora, qualcuno, avrò storto il naso. Ma il tempo passa e porta dietro di sé le innovazioni. In quanto tali, sono inarrestabili. La virtualizzazione del reale oppure una realizzazione del virtuale, non si può star qui a fare disquisizioni in merito. Non è il tempo giusto, bisogna lasciare che trascorra altro tempo, in modo che la novità venga metabolizzata e sedimenti; solo allora si potrà tirare le somme in proposito.
Non sembra, apparentemente, un’idea demoniaca come la critica vuol farla apparire. Trecentosessanta gradi sempre più completi. Perché no? I contro, come ci sono in ogni cosa, sono anche qui: la virtualizzazione è un processo che reca in sé i semi del pericolo. A livello etico e sociale, si intenda. Non certo per una proiezione cinematografica. E, benché nessuno abbia da lamentarsi nel campo della società o della politica per questo continuo delegare ad altri, ne hanno a polemizzare con il cinema. Come a volerci ricordare che anche le pulci hanno la tosse: basta con le polemiche a tutti i costi.
Qualcuno ha detto che la realtà è la migliore rappresentazione di se stessa: il tentativo di essere realistica e plausibile spinge a cercare nuovi sbocchi, per non arenarci nel fatidico –e fatale- già visto. Inoltre, coinvolgere i sensi, perfettamente inserito in questo nuovo modo di intendere la vita, nel connubio inscindibile tra mente e corpo, può essere una buona direzione verso cui muoversi. Siamo all’alba di un nuovo mondo: “Il Nuovo Mondo” di Malick potrebbe esserne la conferma.
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