Morgan esplode sul palco con il suo caldo sorriso bianco. Stretto in un abito demodé. Alle prese con più di uno strumento da suonare. E le sue energie da gestire. Senza far troppi danni. Senza spezzare troppi cuori. Nel buio silenzioso della sala, di tanto in tanto, l’incanto dello spettacolo viene rotto da un flash accecante. Ma dopo qualche istante, lui ha ripreso il monopolio del pubblico. Tutti gli occhi su di lui che canta, suona, balla. Ride di sé e degli altri. Acuto e agrodolcein ogni strofa delle sue canzoni, in ogni parola che proferisce. Morgan dà un peso a tutto. E sa dare il giusto peso- e valore- alle cose che fa. E’ autoironico, si definisce un’ombra. Forse l’ombra beffarda che sfugge a Peter Pan. Forse l’ombra che striscia nell’ombra. L’ombra delle sagome. Senza contorni definiti. Senza caratteri precisi. Solo un’ombra. L’accenno a ciò che è in crescita. Il germoglio del futuro.
Morgan e le sagome, questo è il titolo del concerto.
Canzoni vecchie e nuove. Passato e presente. In un continuo concitato di note impazzite che danzano nell’aria. Morgan lancia suoni di gomma che rimbalzano contro gli spettatori e gli tornano come eco. L’eco di se stesso. Così vanitoso ed un po’ egocentrico, ma pieno di fascino e consapevole dei propri limiti, di uomo; di artista. I limiti che tutti hanno e che non bisogna prendere sul serio. ”Io posso fare ciò che a voi non è concesso” urla contro il mondo. Anche contro il suo pubblico. Ride di tutto, lui. Forse perché sa come va la vita. Sa che ti impone troppi momenti infelici per prendersi sul serio. Per non affrontarla con leggerezza. Con ironia. E’ uno difficile da seguire in tutti i suoi cambi di tonalità. Di canzone. Di personalità. Morgan è l’attore di se stesso. E recita benissimo il suo ruolo che è già parte della sua persona. Per citare uno dei suoi album con i Bluvertigo: ”mi piace la gente sincera ma anche quella che mente penso che praticamente sia bella la gente insana di mente”. Quindici minuti di pausa, per riprendere fiato. E le luci tornano in sala.
Dopo una breve attesa con la promessa di grandi sorprese, nel secondo “atto” Morgan torna sul palco con i capelli legati, più composto. Meno rock. Più riflessivo, meditabondo. Ancora una voce fuori dal coro. Ma la voce di canzoni che non sono sue. Ripropone alcuni brani di Fabrizio De Andrè ed il pubblico si perde in uno scrosciare d’applausi. Ha una voce contagiosa, lui. Come il tintinnio di monete d’oro. Una voce calda. Profonda. Estremamente virile.
Una voce che sa innalzarsi verso il cielo e scendere nei meandri dell’inferno. Cambiamenti di registro e tonalità da far impallidire chiunque. Ma quando tutto sembra volgere al termine, fa il suo ingresso Franco Battiato. Composto e sobrio. L’altra faccia di Morgan. Il suo opposto. Ma, forse proprio per questo, perfetto su quel palco accanto a lui.
Duettano assieme ancora in onore del cantautore genovese e poi si dilettano in musica anni sessanta che Battiato confessa timidamente di aver provato solo poche ore prima in albergo assecondando un capriccio di Morgan. Si respira un clima confidenziale, rilassato, senza costruzioni. Solo pensieri di musica. La batteria. Il basso. La chitarra elettrica. L’organo... Strumento inusuale, ma, in quanto tale, coerente con lo stile del cantante.
La sua musica riesce ad essere anticonformista senza affettazione. Senza la ricercatezza della nota distintiva a tutti i costi. Morgan sembra uno che ha constatato che la vita segue i suoi percorsi. Tanto vale, accettarla per come è. Senza però cadere in una placida rassegnazione. Godere la vita. In ogni senso sia possibile intendere la frase. Tanto che lui, per schiarirsi la voce, non ha l’acqua a portata di mano. Ha una birra.
Se ne potrebbe parlare per ore, dell’uomo che è. Come, probabilmente, di ogni essere umano. Con pregi e difetti, vizi e virtù. E star qui a spiegare il come ed il perché di certi suoi atteggiamenti. Del significato della sua arte. Della differenza che passa tra l’uomo e l’artista. Senza, necessariamente, capire niente di lui per come è davvero. Ma, a volte, basta dire: la comprensione è un’utopia, come l’anarchia, per questo va cercata.
|
|