Onde evitare il rischio di ritrovarci nel ruolo di prede dei nostri stessi piaceri, meglio conoscere la natura dell’oggetto di fronte al quale ci troviamo. Che cos’è allora l’immagine?
A tutti quelli che sostengono l’equazione immagine=televisione=pubblicità, benvenuti, la Joly vi farà cambiare idea con un viaggio attraverso le mille sfaccettature del fenomeno-immagine, scomponendolo fino ad analizzare l’infinitamente piccolo, e poi ricomponendolo per osservarlo dall’alto, nella sua grande infinità.
Immagine non è soltanto tv, il termine si porta dietro una forte carica culturale e antropologica dal passato, tutti gli ambiti che ne hanno consentito lo sviluppo, interni ed esterni alla coscienza umana, tutte le tecnologie degli ultimi millenni. Basta abbracciare la questione da una panoramica più ampia per scorgere dietro e davanti a noi una miriade di significati che si fondono e si confondono nel tempo: l’immagine come Imago latina, come Vita Eterna, come Sacro, come Verità, come Sapere, come Arte, ma non solo, immagine come Rappresentazione mentale, come Fantasma delle nostre menti, come Sogno, come Illusione, come Ricordo, e ancora immagine come Linguaggio figurato, come Metafora, o immagine scientifica come Strumento indispensabile di studio, ma anche immagine Fotografica, fissa o in movimento, reale o virtuale, analogica o digitale.
Il saggio, pur nel suo essere sintetico, non si limita a spiegazioni generiche, anzi procede per esempi facilmente comprensibili (ad esempio l’analisi di un quadro o di un manifesto pubblicitario), nonché riportando un minimo di riferimenti alla teoria dei segni.
Il tutto conduce il lettore alla consapevolezza che analizzare un’immagine significa innanzitutto riconoscere il confine tra “percezione” e “interpretazione” per non cadere nel tradizionale e diffuso pregiudizio che l’immagine sia un linguaggio universale. E’ poi essenziale lasciare da parte la pretesa di accedere a ciò che l’autore ha voluto esprimere. Analisi è mettersi dalla parte di chi riceve, individuare il destinatario, noi stessi.
Ma come si distingue l’immagine dalle altre forme comunicative? L’immagine non ha proprietà metalinguistiche, non può parlare di sé, al contrario del linguaggio verbale, e non asserisce nulla se svincolata dalle parole, rimane lì, sospesa in un precario equilibrio tra il vero e il falso, in una terza dimensione sconosciuta ad ogni logica.
E’ dunque giunto il momento di restare in silenzio? Niente affatto, l’ultima parte del libro è dedicata proprio al rapporto bizzarro che intercorre tra parole e immagini, la Joly cita Godard: «Parola e immagine sono come sedia e tavolo: se volete mettervi a tavola, avete bisogno di entrambi». Quindi parola e immagine si completano piuttosto che escludersi vicendevolmente, talvolta raggiungendo risultati stravaganti e sorprendenti, capaci di sconvolgere qualsiasi aspettativa: basti ricordare l’ironico Magritte del «Ceci n’est pas une pipe» scritto sotto il dipinto di una pipa!
Le ultime pagine chiudono infine il cerchio, riportando la teoria di Barthes di una fotografia che è “l’entrare in una morte piatta”, dove il soggetto lasciandosi catturare dall’obiettivo diventa oggetto, spettro di un tempo fermato per sempre..e forse qui si coglie il senso dell’epigrafe introduttiva di questo piccolo libretto: “guardare, guardare fino a non essere più sé stessi”.
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