E LE PAROLE? LA RISCOPERTA DEL TESTO OLTRE LA MUSICA COMMERCIALE
Le classifiche di vendita dei dischi assumono da anni connotazioni piuttosto precise. Sembrano raccontare l’egemonia della musica straniera, superficiale. Quasi afona. E’ il testo uno dei feriti gravi di questa parabola.
di Stefano Zoja
Prendiamo la classifica di vendita dei dischi di Feltrinelli dell’ultima settimana. Recita così: l’ultima raccolta di De Andrè al primo posto, poi Vasco e Baglioni. Quarta Madonna, quinto Robbie Williams. Poi Renato Zero, Tiromancino, Anastacia, Laura Pausini e Michael Bublè. E fanno dieci. Seguono Enya, Green Day, Eurythmics, Eminem e Ramazzotti. Otto dei primi quindici album sono stranieri.

E questa settimana va piuttosto bene, perché ai primi tre posti ci sono tre italiani: le rappresentanze straniere non hanno di solito nessuna difficoltà a salire sul podio. Nessuna rivendicazione autarchica beninteso: la musica straniera è benvenuta. Ma le classifiche che si succedono lungo le settimane ormai da anni denunciano alcune fragilità culturali.

La prima può consistere nella presenza così massiccia di artisti stranieri. La percezione negativa di questo fenomeno naturalmente è del tutto relativa e non costituisce un vero problema in sé. La musica straniera è un arricchimento e stabilire una quota che desidereremmo entrasse nelle nostre case è questione di apertura soggettiva alla diversità.

E’ un altro l’aspetto problematico: la totalità degli album stranieri che questa settimana sono nelle posizioni di testa è di lingua inglese ed è nordamericano o britannico. Su questo punto, diversamente da prima, questa settimana siamo sfortunati: di solito almeno qualcosa in lingua spagnola o francese capita di trovarlo.

Ma la sostanza resta: niente Sud America, niente Asia, niente Africa o Medio Oriente. E di arricchimento – emotivo per gli ascoltatori o musicale per il sistema – non possiamo parlare più.

La preminenza culturale dei prodotti anglofoni sui nostri mercati è un fatto ormai pluridecennale. Oltre il 60% dei film proiettati oggi nei nostri cinema è americano; nell’editoria i nomi di molti autori di best seller stranieri suonano come Brown, Follett, Grisham, Crichton. Una presenza culturale che riposa prima di tutto sul primato commerciale che le realtà anglosassoni hanno conquistato.

Produzione, distribuzione e promozione sono realizzate con strategia scientifica e aggressiva. Ci fermiamo prima di approdare al consueto “vince la cultura di chi ha più soldi”, che sarebbe la base inevitabile di qualsiasi dibattito sul tema.

Ci fermiamo anche perché c’è un'altra realtà che emerge. Ed è qui che volevamo arrivare. Una tale diffusione delle canzoni straniere ha anche un altro significato. Del testo delle canzoni non c’importa granché. Non lo capiamo nella grande maggioranza dei casi, o se siamo in grado di capirlo pare non interessarci molto. La grande maggioranza degli acquirenti di musica sono giovani, spesso giovanissimi.

In molti casi queste persone non conoscono l’inglese, o lo conoscono male. Quand’anche lo conoscessero raramente si impegnano davvero a capire il senso del testo che ascoltano. E spesso nel caso degli album d’alta classifica si tratta comunque di testi dotati di scarso spessore. Vedi Madonna, Anastacia, Green Day.

Semplificando si può dire che mentre la componente musicale dei brani (melodia, ritmo) fa immediato appello all’emotività, la parte testuale impegna di più la comprensione razionale. Naturalmente anche il testo ha una forte valenza emotiva, ma richiede uno sforzo in più, soprattutto nei casi in cui abbia una particolare densità, come succede per la storica canzone d’autore italiana. Ma questo sforzo in più è ripagato.

Chi si “concentra” sul testo, chi cerca di cogliere il senso completo di un brano musicale avrà un’esperienza emotiva più ricca e gratificante, proprio perché più complessa. Il testo e la melodia, quando la canzone è congegnata bene, si richiamano, si rincorrono, si completano. E passano un messaggio più intenso.


Naturalmente il peso specifico di un testo di Battiato o di Guccini è abbastanza diverso da uno poppeggiante di Madonna. Ed è proprio questo che li rende potenzialmente più affascinanti. I livelli di lettura sono di più, le atmosfere, le parole, i sentimenti evocati, sono più particolari, parlano con più pregnanza alla vita di chi quelle realtà le conosce, o le sa intuire.

“Settembre è il mese del ripensamento sugli anni e sull' età, dopo l'estate porta il dono usato della perplessità, della perplessità... Ti siedi e pensi e ricominci il gioco della tua identità, come scintille brucian nel tuo fuoco le possibilità, le possibilità...”. Dalla Canzone dei dodici mesi di Guccini.

Perché settembre è il mese del ripensamento? Cos’è il gioco dell’identità? Perché “dono usato”? C’è una densità di significato e una forza evocativa rara in espressioni come queste. Difficile da ritrovare nelle classifiche di vendita.

Ancora: “Umbre de muri muri de mainè, dunde ne vegni duve l’è ch’anè, da ‘n scitu duve al’un-a a se mustra nua, e a neuette a n’a puntou u cutellu a gua e a munta l’àse gh’è restou Diu, u Diau l’è in ce e u s’è gh’è faetu u nìu”. “Ombre di facce facce di marinai, da dove venite dov’è che andate, da un posto dove la luna si mostra nuda, e la notte ci ha puntato il coltello alla gola, e a montare l’asino c’è rimasto Dio, il Diavolo è in cielo e ci si è fatto il nido”. De Andrè ha scritto Creuza de ma in antico dialetto genovese, fuori dalla portata di quasi tutti. La musica è splendida, basta da sola. Ma se qualcuno tenta quella minima fatica per scoprire cosa dice il testo si sorprenderà, riascolterà la canzone con un gusto diverso, quasi fosse un film, tanto è vivido ciò che emerge dalla musica e dalle parole insieme.

Questi significati, o più semplicemente questa poesia, fusi con la musica portano molto più lontano chi vuole o sa coglierli rispetto a un Robbie Williams o a Eminem. La musica da esportazione vuole semplicemente colpire la più vasta utenza possibile, così di rado può permettersi di evocare significati profondi, o addirittura non immediati.

E’ come una catena che procede per approfondimenti successivi: in testa c’è lo stile dance – accattivante e del tutto legittimo, per carità – dell’ultima Madonna, o il rap di Eminem. Il testo inglese in questi casi, soprattutto per noi italiani è più che altro un ricamo sonoro, di cui spesso cogliamo qualche espressione qua e là, che decora e arricchisce un poco il senso della canzone, ma che quasi mai ci coinvolge profondamente. Poi potrebbero venire le canzoni italiane più semplici, nelle quali il senso del testo è inevitabilmente coinvolto per costruire il significato. Infine ci sono gli elaborati pezzi dei cantautori, coi loro testi.

Sta alla nostra capacità e volontà di sforzarci – che a un certo punto diviene sempre più naturale – attingere anche a queste emozioni. Le classifiche dicono che questo sforzo interessa pochi. Anche se questo pezzo esce proprio nella settimana in cui si ritrova al primo posto uno come Fabrizio De Andrè. Ma lui è un’eccezione, in tutti i sensi.


(18/08/2006)