Perché mai recensire L’insostenibile leggerezza dell’essere, di Milan Kundera?
Ho appena finito di leggerlo e mi è venuto l’impulso forte di scriverci qualcosa.
Ho avuto la fortuna di approcciarmi a quest’opera senza saperne niente, senza averne letto le ormai ventennali critiche, senza conoscere le tematiche trattate dall’autore, né lo stile con cui esso scrive.
Per me, Milan Kundera era solo un pezzo di una canzone di Antonello Venditti, legata alla mia infanzia, accompagnato da “La mia Africa” e “9 settimane e mezzo” e il titolo dell’opera in questione andava pronunciato con tono prolungato e lamentoso, dandomi l’idea di un’insopportabile mattone intellettualoide.
Mi ero sbagliato! Ho premesso la mia totale ignoranza sul testo che qui sto trattando per evitare di offendere chi lo ha letto e analizzato per anni, chi ne ha scoperto i più improbabili risvolti, chi ne ha tratto ogni possibile conclusione.
Questa recensione si rivolge a chi non ne sa assolutamente nulla e vuole essere il commento di un lettore e non di un critico.
Il romanzo racconta la vita di quattro persone, di un paese, di un’epoca e di un cane. L’autore interviene spesso sui fatti raccontati, anticipando o svelando fatti e commentando la vita, il senso della stessa, il comunismo, le dittature, il rapporto tra leggerezza e pesantezza, tra fisico e anima e tra la merda e Dio.
Kundera ci spiazza continuamente.
Sullo sfondo, resta sempre il dialogo tra lo scrittore e il lettore, abilmente condotto. Chi legge è continuamente stimolato alla riflessione e allo stesso tempo è curioso (e timoroso) di scoprire il destino dei personaggi.
Tereza e Tomas, i protagonisti principali, si incontrano, si amano, si sposano. Lui la tradisce per tutta la vita, ma non può farne a meno, è “la sua natura”. Lei lo sa, ne soffre, ma non lo lascia. Lo “ricatta” con la sua debolezza, con il suo dolore, fino a quando, a pochi giorni dalla morte, si rende conto che la vera violenza era esercitata dalla sua debolezza: “Siamo tutti pronti a vedere nella forza il colpevole e nella debolezza la vittima innocente. Ma ora Tereza si rende conto che nel loro caso è stato tutto il contrario! ... La sua debolezza era aggressiva e lo costringeva ad una continua capitolazione, fino a che lui non aveva smesso di essere forte e si era trasformato in un leprotto tra le sue braccia”.
Nel frattempo, la Repubblica Ceca è invasa dall’Unione Sovietica e noi scopriamo e veniamo trasportati in un mondo che per molti non è più e per alcuni non è mai stato. Il mondo terribile e insopportabile delle dittature sovietiche e filo-comuniste. Ma Kundera si distacca anche dalla semplice critica al comunismo. Secondo Sabina, un’altra dei protagonisti, il vero male non è infatti il comunismo; il vero male è il Kitsch, quel Kitsch che spinge le persone a sorridere di fronte a ciò che sembra essere come dovrebbe essere. "Il Kitsch è un paravento che nasconde la morte".
L’amore, il sesso, la politica, la vita sono descritte con una sorprendente leggerezza, pur mostrandosi in tutta la loro pesantezza. Non è importante che si condividano le teorie dello scrittore. In ogni caso, infatti, non si potrà fare a meno di esserne affascinati e stimolati.
L’amore dell’essere umano verso l’animale è veramente superiore a quello tra due persone? Il Kitsch è veramente il peggiore di tutti i mali? Sesso e amore possono viaggiare divisi? E’ giusto compiere un’azione politica di protesta se questa non porterà alcun miglioramento nella vita altrui, ma porterà senz’altro un peggioramento nella propria vita? Ha ragione Parmenide quando dice che il leggero è positivo e il pesante è negativo? (“L’opposizione pesante-leggero è la più misteriosa e la più ambigua tra tutte le opposizioni”) Esistono nel nostro percorso dei “Es muss sein!” (Deve essere!), degli imperativi che ci guidano? E se esistono, è giusto seguirli o bisogna sottrarglisi? I genitori vanno amati in quanto tali? Si può abbandonare un figlio e vivere comunque serenamente?
”Non esiste alcun modo di stabilire quale decisione sia la migliore, perché non esiste alcun termine di paragone. L’uomo vive ogni cosa per la prima volta, senza preparazioni" .
Kundera sembra mettere alla prova tutte le morali, sembra uno spirito libero e curioso. Tomas viene accolto con grandi sorrisi, quando i suoi colleghi pensano che si sia compromesso e macchiato di immoralità, mentre quando lui mostrerà di aver scelto la strada della coerenza, quegli stessi colleghi sembrano evitarlo e presto lo dimenticano.
Kundera non si preoccupa, quindi, di offendere il giudizio comune nell’esprimere i suoi pareri o le sue tesi, né si aspetta che i suoi personaggi siano mal giudicati per ciò che comunemente è considerato immorale.
D’altronde lo stesso scrittore ceco, ad un certo punto, scrive: “I personaggi del mio romanzo sono le mie proprie possibilità che non si sono realizzate. Per questo voglio bene a tutti allo stesso modo e tutti allo stesso modo mi spaventano: ciascuno di essi ha superato un confine che io ho solo aggirato. E’ proprio questo confine superato che mi attrae. Al di là di esso incomincia il mistero sul quale il romanzo si interroga. Un romanzo non è una confessione dell’autore, ma un’esplorazione di ciò che è la vita umana nella trappola che il mondo è diventato. Ma basta! Torniamo a Tomas”.
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