Vittime, condottieri, carnefici, questi i protagonisti a tessere la trama di un romanzo ontologicamente intrecciato alla storia dell’uomo fin dagli albori della vita associata.
Come sottolinea la Maniscalco “Il tirannicidio è la prima forma di terrorismo”, ma cosa si intende per terrorismo oggi? Di Meo la prende alla lontana, partendo dall’aspetto semantico della questione e riportandoci una “guerra di definizioni” ci mostra la difficoltà di catturare il fenomeno terroristico come oggetto di ricerca scientifica, ancor più se considerato in relazione ai mezzi di informazione. Il problema è affrontato sinteticamente ma nelle sue sfaccettature, spaziali e temporali, citando documenti e dibattiti, in modo da delineare facilmente i confini di un quadro generale ma efficace: si passa quindi dal terrorismo politico (rosso o nero) a quello nazionale, fino a sfiorare i paradossi del globale.
Quello che accomuna eventi distanti temporalmente e culturalmente è la capacità dei media di prestarsi a rivestire il ruolo di cassa di risonanza nei confronti dei fenomeni ambigui come quello del terrorismo. Insomma, che il fulcro del dibattito sia la “geometrica potenza” delle BR, l’ETA, i movimenti nord-irlandesi, i ribelli ceceni o Al-Quaeda, il bivio di fronte al quale si trova il mondo dell’informazione è sempre lo stesso: censura o trasmissione?
Il black out mediatico proposto da McLuhan negli anni ’80 a proposito del caso Moro a mò di cura omeopatica per “manipolare i manipolatori”, ritorna nella strategia adottata dalla Casa Bianca dopo l’11 settembre; la rappresentazione delle organizzazioni terroristiche distorta dalla decontestualizzazione degli eventi, dalla loro eccessiva semplificazione, dalla loro trattazione superficiale e caotica resta nella stampa di ieri e nei talk show di oggi.
Eppure evolve il mondo dell’informazione ed il modo in cui esso influisce sulla società, percorrendo ogni luogo dell’ossimorico “villaggio globale”, contribuendo alla creazione di veri e propri eventi mediatici davanti ai quali ogni cittadino (del mondo) è spettatore coinvolto in prima persona. Iperrappresentazione mediatica e simbolismo terroristico sono gli elementi che portano il nostro presente a distaccarsi dal resto, a risultare più problematico, dove la trasmissione reiterata delle stesse immagini oltre a manifestare spesso la fuga da un’evidente penuria informativa, alimenta la spettacolarizzazione degli eventi stessi.
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Tra la lettura del terrorismo attuale come “soglia tumorale della nostra società” e la consapevolezza di un universo mediatico sempre più difficile da gestire, non rimane che appellarsi ad una ‘terza via’ di responsabilità e coscienza morale, enfatizzata dalle parole accese che l’autore ci spara al petto definendo come unica soluzione quella di “un giornalismo che sia espressione di tutti, che non si lasci piegare né dal clima imposto dal terrorismo né dalle richieste del governo, che sia un vero quarto potere e non valletta delle istituzioni, che non sia strumento di nessuno, ma baluardo di verità per tutti”.
Retorica o pura utopia, resta l’esasperazione per l’attuale sistema informativo, l’esigenza di cambiare le cose.
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