Dal 19 febbraio è aperta a Milano la mostra Anton Van Dyck. Riflessi italiani.
All’interno della Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale sono riuniti 34 capolavori del maestro fiammingo.
L’esposizione non vuole essere una generica monografica sul pittore, ma intende indagare nello specifico l’influenza che ebbe l’arte italiana sullo stile di Van Dyck.
L’artista, infatti, soggiorna in Italia a lungo, tra il 1621 e il 1627, visitando numerose città e lasciando traccia di sé in importanti collezioni, ma venendo anche condizionato nello stile dall’incontro con le opere di Tiziano, di Veronese e di Correggio.
Tutti i dipinti presenti nella mostra risalgono a questo periodo o a quello immediatamente successivo, quando Van Dyck rientra ad Anversa e risente ancora della suggestione dell’arte italiana.
La maggior parte delle commissioni del periodo italiano riguardano la sua attività di ritrattista, alla quale è dedicata la prima sezione della mostra.
La seconda, invece, è incentrata sulle opere di soggetto sacro e mitologico, eseguite per la maggior parte dopo il ritorno dell’artista nelle Fiandre, quando la sua fama raggiunge l’apice e Van Dyck prende il posto di Rubens nel favore della committenza di Anversa.
In questo periodo Van Dyck dipinge il quadro considerato l’ospite d’onore della mostra, il Compianto di Cristo di recente recuperato e sequestrato dal Nucleo Tutela del Patrimonio Artistico dei Carabinieri, dopo un illegale soggiorno all’estero.
Di grande interesse è il debutto di Luca Ronconi, celebre regista e direttore artistico del Piccolo Teatro di Milano, come curatore dell’allestimento espositivo. Di forte impatto scenico è soprattutto la prima sala della mostra, che vede fronteggiarsi due file di grandi ritratti a figura intera, a creare una galleria di personaggi, sacralizzati entro nicchie architettoniche, che concorrano con le loro personalità a definire l’atmosfera della scena.
Ci si rammarica che manchi all’esposizione una sezione dedicata alle fonti italiane di Van Dyck, che sarebbe di grande aiuto a tutti coloro a cui mancassero immagini di confronto per cogliere quanti e quali siano gli scambi stilistici fra Van Dyck e l’arte italiana.
Ulteriore nota di demerito riguarda la totale mancanza di cartelloni esplicativi che introducano lo spettatore alle principali conoscenze storiche, artistiche e culturali che gli consentano di apprezzare meglio ciò che vede. A questa mancanza si è pensato di poter sopperire con le audioguide (che vengono consegnate al visitatore con il prezzo del biglietto), che non credo possano eguagliare, per ovvie esigenze di tempo, il livello di approfondimento dei pannelli esplicativi.
A compensare questi difetti è la strepitosa qualità delle opere presentate: pittore suggestivo e accattivante Van Dyck seppe trasfondere ai suoi quadri la stessa eleganza che le fonti menzionano usasse nel scegliere ciò che lo circondava.
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