Diceva Celentano che con lui si chiude uno spazio aperto alla liberta', alla boccata d'aria fresca finalmente, miracolosamente circolata in tv. E Vespa, qualche ora dopo chiosava: "torna con Porta a Porta il grigiore mediatico".
Pensava d'essere ironico lui, e invece era drammatico. Nessuno come Vespa ha definito cosi' bene quel suo gran calderone salottiero che annoia i mediocri e irrita gli uomini di buona volonta'.
Nonostante l'azzurro richiamo dello studio, delle luci, degli sfondi, il programma di Vespa e' grigio come pochi altri, opaco, convenzionale e purtroppo prevedibile. Tutto il contrario di Rockpolitik, di ambientazione periferica, cosi' cupo all'apparenza, persino tetro -come lo ha definito il direttore di "Padania"- eppure variopinto, allegro, con una sua spensieratezza arcaica, infantile nel senso piu' poetico.
Noi tutti speriamo che non sia stata consegnata a Celentano l'unica fetta a disposizione della liberta' di parola. Ma nessuno negli ultimi anni, e forse ancora prima, ha potuto dire con altrettanta semplicita', in modo cosi' diretto, quello che pensava. Nessuno ha mai potuto ringraziare Angius e Bertinotti in maniera esplicita per un gesto compiuto pubblicamente -'grazie per avermi difeso', ha precisato Adriano- nessuno ha mai potuto consentire ai propri ospiti di esprimersi pienamente, senza il timore di ripercussioni e conseguenze.
Discutibile e discusso l'intervento di ogni personaggio gravitato intorno alla trasmissione del giovedi' sera, eppure sereno. Questo stupore di sentir dire a persone di spettacolo proprio tutto quello che avevano in mente -poco o molto che fosse- ha fatto emergere la coscienza di tutte le censure ingiustamente tollerate.
Non dico di Santoro e Biagi, di Luttazzi o Guzzanti o Dandini che hanno sempre goduto della protezione partigiana in virtu' della quale si credevano intoccabili ma di tutti quelli che passano -anche solo per sbaglio, anche solo per un'ora- sul palcoscenico della teatro mediatico. In generale, e ormai in modo abitudinario, e' tutto un prevenire, tutto un arginare il pensiero, tutto un cautelarsi da quel che si puo' fraintendere. Ne' politici ne' giornalisti riescono piu' a chiedere cio' che vogliono o a rispondere quel che davvero interessa.
Percio' continua a far clamore ogni apparizione di Gianfranco Funari, percio' piacciono anche i modi meno 'cauti' di Enrico Mentana.
Chi si esprime in maniera schietta -torna alla memoria persino qualche pagina pirandelliana- pare un blasfemo, il pazzo che va incontro a un destino di sventura, uno di cui possibilmente non si sentira' piu' parlare all'improvviso, uno che potrebbe non venire piu' in mente a nessuno. Perche' dura in Italia un'ereditata consapevolezza 'mafiosa' che per esistere in qualche modo si debba appartenere a una maggioranza vincente, ringraziare il potere dei diritti propri.
Da questa logica frustrante che ammansisce i talenti e scoraggia i virtuosi Celentano -senza nessuna sua dote eccezionale se non quella di uno sfrontato candore- ci ha fatti sentire liberati. Lo ha fatto lui, per adesso. Ha detto cose semplici: che in guerra si perde la ragione, che l'economia non fa bene al pianeta… E anche noi ci siamo sentiti partecipi, autorizzati a pensare problemi e soluzioni in modo facile, accessibile, immediato. Non esiste complicazione che non nasconda qualche privato interesse.
Per qualche ora, una volta a settimana, c'e' stata questa aspettativa, di vedere lo stra-ordinario ripetersi, di chiedersi fino a che punto si sarebbe potuti arrivare.
La liberta' vissuta come fenomeno da baraccone, assunta al ruolo di protagonista dello show, invece, e' cosa grave: dovrebbe essere il presupposto, un sottinteso, il dato nascosto nelle pieghe del sipario, tra le righe del copione. Il contrario da' il senso del dramma in corso.
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