CELENTANO: CHE RAGAZZO… RAGAZZI! A SIPARI CHIUSI
Termina il programma Rockpolitik, che per quattro settimane ha fatto discutere pubblico e critica. Rimpianto tra gli spettatori, sollievo per gli addetti ai lavori…
di Daniela Mazzoli
Diceva Celentano che con lui si chiude uno spazio aperto alla liberta', alla boccata d'aria fresca finalmente, miracolosamente circolata in tv. E Vespa, qualche ora dopo chiosava: "torna con Porta a Porta il grigiore mediatico".

Pensava d'essere ironico lui, e invece era drammatico. Nessuno come Vespa ha definito cosi' bene quel suo gran calderone salottiero che annoia i mediocri e irrita gli uomini di buona volonta'.

Nonostante l'azzurro richiamo dello studio, delle luci, degli sfondi, il programma di Vespa e' grigio come pochi altri, opaco, convenzionale e purtroppo prevedibile. Tutto il contrario di Rockpolitik, di ambientazione periferica, cosi' cupo all'apparenza, persino tetro -come lo ha definito il direttore di "Padania"- eppure variopinto, allegro, con una sua spensieratezza arcaica, infantile nel senso piu' poetico.

Noi tutti speriamo che non sia stata consegnata a Celentano l'unica fetta a disposizione della liberta' di parola. Ma nessuno negli ultimi anni, e forse ancora prima, ha potuto dire con altrettanta semplicita', in modo cosi' diretto, quello che pensava. Nessuno ha mai potuto ringraziare Angius e Bertinotti in maniera esplicita per un gesto compiuto pubblicamente -'grazie per avermi difeso', ha precisato Adriano- nessuno ha mai potuto consentire ai propri ospiti di esprimersi pienamente, senza il timore di ripercussioni e conseguenze.

Discutibile e discusso l'intervento di ogni personaggio gravitato intorno alla trasmissione del giovedi' sera, eppure sereno. Questo stupore di sentir dire a persone di spettacolo proprio tutto quello che avevano in mente -poco o molto che fosse- ha fatto emergere la coscienza di tutte le censure ingiustamente tollerate.

Non dico di Santoro e Biagi, di Luttazzi o Guzzanti o Dandini che hanno sempre goduto della protezione partigiana in virtu' della quale si credevano intoccabili ma di tutti quelli che passano -anche solo per sbaglio, anche solo per un'ora- sul palcoscenico della teatro mediatico. In generale, e ormai in modo abitudinario, e' tutto un prevenire, tutto un arginare il pensiero, tutto un cautelarsi da quel che si puo' fraintendere. Ne' politici ne' giornalisti riescono piu' a chiedere cio' che vogliono o a rispondere quel che davvero interessa.

Percio' continua a far clamore ogni apparizione di Gianfranco Funari, percio' piacciono anche i modi meno 'cauti' di Enrico Mentana.
Chi si esprime in maniera schietta -torna alla memoria persino qualche pagina pirandelliana- pare un blasfemo, il pazzo che va incontro a un destino di sventura, uno di cui possibilmente non si sentira' piu' parlare all'improvviso, uno che potrebbe non venire piu' in mente a nessuno. Perche' dura in Italia un'ereditata consapevolezza 'mafiosa' che per esistere in qualche modo si debba appartenere a una maggioranza vincente, ringraziare il potere dei diritti propri.

Da questa logica frustrante che ammansisce i talenti e scoraggia i virtuosi Celentano -senza nessuna sua dote eccezionale se non quella di uno sfrontato candore- ci ha fatti sentire liberati. Lo ha fatto lui, per adesso. Ha detto cose semplici: che in guerra si perde la ragione, che l'economia non fa bene al pianeta… E anche noi ci siamo sentiti partecipi, autorizzati a pensare problemi e soluzioni in modo facile, accessibile, immediato. Non esiste complicazione che non nasconda qualche privato interesse.

Per qualche ora, una volta a settimana, c'e' stata questa aspettativa, di vedere lo stra-ordinario ripetersi, di chiedersi fino a che punto si sarebbe potuti arrivare.
La liberta' vissuta come fenomeno da baraccone, assunta al ruolo di protagonista dello show, invece, e' cosa grave: dovrebbe essere il presupposto, un sottinteso, il dato nascosto nelle pieghe del sipario, tra le righe del copione. Il contrario da' il senso del dramma in corso.


(11/11/2005)