Sono più di 100.000 le sostanze chimiche che attualmente si trovano sul mercato europeo. Più di 100.000, quindi, le sostanze potenzialmente tossiche con cui quotidianamente veniamo in contatto. Tali elementi chimici, infatti, sono contenuti in merci di largo consumo e utensili di uso quotidiano apparentemente innocui e apparentemente indispensabili, quali prodotti alimentari, mobili, giocattoli, apparecchi elettronici e cosmetici.
Sulla base di questa scomoda e pericolosa “convivenza” cui ci costringiamo, ormai è inaccettabile il fatto che per oltre l’85% dei composti chimici oggi commercializzati non si disponga di dati sufficienti per comprendere gli effetti che un’esposizione a basso dosaggio di tali sostanze può avere sull’organismo umano e sull’ambiente, né a breve né a lungo termine.
Il risultato è che le proprietà tossicologiche ed ecotossicologiche di tali sostanze non sono realmente conosciute e che, proprio per tale pigra ambivalenza, queste stesse continuano ad essere commercializzate senza una legislazione “adeguata” che ne regolarizzi, nella pratica, il loro utilizzo.
La situazione è aggravata dall’esistenza di molteplici legami, non solo ipotetici, ma ampliamente dimostrati dalla comunità scientifica, tra malattie, quali allergie, cancro, danni al sistema ormonale e problemi di fertilità - oggi tra l‘altro in decisivo aumento - e sostanze chimiche.
Molti sono gli articoli scientifici che ne attestano la pericolosa presenza nel sangue, nelle urine, nei tessuti adiposi, nel latte materno e nel cordone ombelicale dei neonati. Neppure la propria casa, infatti, è luogo sicuro; a proposito va ricordato che, tutt’oggi, alcune sostanze chimiche utilizzate nella produzione di articoli di uso quotidiano sono strutturalmente simili ai noti policlorobifenili o PCB, nonostante anni fa, a danno compiuto, l’OMS avesse dichiarato che: “i dati ottenuti da studi su esseri umani e animali da esperimento indicano chiaramente che l’esposizione (in particolare quella prenatale) a certi interferenti endocrini (ad esempio i policlorobifenili) può avere effetti nocivi sullo sviluppo neurologico, sulle funzioni neuroendocrine e sul comportamento”. (Damstra T, Barlow S, Bergman A, Kavlock R, Van Der Kraak G. 2002. Global assessment of the state-of-the-science on endocrine disruptors. International Programme on Chemical Safety (IPCS), WHO: Geneva).
In questo panorama “a rischio” chiaramente non si salva neppure l’alimentazione, che, anzi, rappresenta una delle principali vie di esposizione dell’organismo umano agli inquinanti ambientali. Un’attenzione particolare va data agli alimenti di origine animale, in quanto depositi favoriti del 90% delle diossine con cui entriamo in contatto.
Il problema principale è che molte di queste sostanze tossiche sono risultate essere persistenti, ovvero resistenti alla degradazione; facile, dunque, ritrovarle anche a grande distanza dal luogo da cui sono state emesse. Caso eclatante è stato il rilevamento di un elevato tasso di tali inquinanti organici persistenti (POP - Persistent Organic Pollutants) nel latte materno delle donne Inuit, popolo delle regioni artiche, assolutamente prive di industrie chimiche, mentre in donne canadesi sottoposte al medesimo esame di controllo ne era stata registrata una minore quantità.
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Luogo deputato al deposito dei POP, tra cui anche i policlorobifenili, è il tessuto adiposo degli organismi, in cui gli elementi tossici si accumulano, creando gravi danni al sistema immunitario e riproduttivo.
Veicoli alimentari d’eccellenza di diossine e PCB, nel contesto della dieta media Europea (I-TEQs), sembrano essere prima di tutto il latte e i latticini (in percentuali variabili dal 16 al 39%), quindi la carne e suoi derivati (6-32%), infine il pesce, in particolare il nasello, la triglia, la sardina, il polpo, lo scampo, la spigola, l’orata e il pesce spada tirrenico (11-63%). Ortaggi, frutta e cereali contribuiscono all’ingerimento delle suddette sostanze solo per circa il 6-26 %.
I pesticidi, nell’ambito alimentare, sappiamo essere al primo posto tra le cause di intossicazione, e anche se prodotti come il DDT, persistenti nell’ambiente, sono stati banditi nei Paesi occidentali, sono ancora pienamente utilizzati in Paesi in via di sviluppo, motivo per cui nessuno, neppure in Italia, può scampare ad eventuale contaminazione.
Troppo spesso, inoltre, viene trascurato il fatto che anche qualora le concentrazioni riscontrate in tali prodotti di sostanze pericolose fossero nella norma, non è attualmente possibile valutare gli effetti della combinazione di centinaia di elementi tossici, i quali a loro volta possono avere meccanismi di azione comuni, dando forma, così, a fenomeni di sinergismo e alla moltiplicazione dell’effetto tossico.
Forse, per noi, è più facile evitare la contaminazione casalinga dei cibi. E’ stato, infatti, confermato da uno studio effettuato nel 2002 che un semplice gesto, per molti quotidiano, come riscaldare e cuocere un pranzo veloce nel forno a microonde, può essere molto pericoloso per la salute del nostro organismo. Il contenitore, infatti, può raggiungere temperature superiori a 180°C dopo solo 5 minuti di riscaldamento, rilasciando nell’alimento contenuto sostanze tossiche di ogni genere, tra cui composti quali metilbenzene, etilbenzene, 1-octene, xilene, stirene e 1,4 diclorobenzene, i più utilizzati nella produzione dei contenitori per alimenti oggi in commercio.
Nell’attesa che l’Unione europea, riconoscendo l’inesistenza fin ad ora di una vera a propria “politica chimica” e l’inefficacia della legislazione attuale in materia, dia l’attesa forma, rafforzandolo, al nuovo progetto di regolamentazione conosciuto come REACH (Registrazione, Valutazione ed Autorizzazione delle sostanze chimiche), noi consumatori possiamo fare qualcosa già a partire da questo momento.
Fondamentale, innanzitutto, è conoscere, informarsi ed essere consapevoli di ciò che acquistiamo e portiamo nelle nostre case, siano giocattoli, mobili, utensili da cucina o prodotti alimentari, in modo da limitare i danni che arrivano dall’”esterno”. Quindi possiamo agire direttamente in modo positivo sul nostro organismo attraverso un’alimentazione sana. Ridurre, ad esempio, l’assunzione di cibi di origine animale, nel cui grasso si accumulano molte sostanze cancerogene, aumentando l’apporto di verdura, la quale contiene molti antiossidanti, e di carboidrati – che dovrebbero rappresentare più del 50% delle calorie totali quotidiane– con preferenza per gli alimenti integrali.
Un’alimentazione regolata sulla base di tali conoscenze ci protegge non solo dalle sostanze tossiche con cui ogni giorno entriamo in contatto, ma anche da eventuali malattie cardiovascolari, che l’OMS ha indicato come principale causa di mortalità nei Pesi occidentali.
Fonte principale: WWF – Campagna Svelénati - www.wwf.it
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