IL DISASTRO KATRINA: L’AMERICA CHIEDE AIUTO
Sembrano immagini dello scorso anno, quando lo tzunami spazzò via chilometri di costa e uccise migliaia di persone in Oriente. E invece si tratta del Paese più ricco del mondo.
di Daniela Mazzoli
A dieci giorni dall’uragano il bilancio della tragedia è di circa 10.000 vittime, una città sommersa, 400.000 posti di lavoro a rischio e una lentezza di soccorsi che farebbe concorrenza solo al Terzo Mondo.

Dalle agenzie e nei telegiornali le immagini trasmesse sembrano quelle di un Paese sottosviluppato, colto inevitabilmente dallo spietato attacco di una natura matrigna. Uomini e donne, anziani, bambini: nessuna età è stata risparmiata. Tutti via, tutti fuori: ma qualcuno resiste, vuole rimanere in casa, non vuole lasciare la propria vita in balia degli sciacalli che popolano come sempre i luoghi delle sventure, pronti a cavarne qualche profitto.

Così il Sindaco, che vuole svuotare la città di New Orleans –o quel che ne resta- ha predisposto gruppi di militari che bussano alle porte degli ‘irriducibili’ e con tono intimidatorio impongano loro di uscire di casa per essere trasferiti altrove. Chissà dove e fino a quando.

Delle 148 idrovore cittadine ne funzionano solo 23. Iniziano pure i primi casi di morte per infezione da cibo e acque contaminate: un virus simile a quello del colera ha già ucciso 5 persone tra Golfo del Messico e Stato del Texas.

La città è invasa dagli scarichi ormai distrutti della rete fognaria, le carcasse di animali viaggiano indisturbate ed entrano in contatto con la melma che scorre tra le case. 78 mila barili di greggio, a causa di due vaste perdite, sono confluiti nel Lago Pontchartrain.

Molti cadaveri galleggiano sulle acque del fiume, alcuni di essi –divorati dagli alligatori- non saranno mai più ritrovati. New Orleans non è solo una città sommersa, è anche una città avvelenata e lo sarà ancora per molto tempo.

Qualcuno si chiede come sia possibile che questo capiti agli Stati Uniti. Si è letto di Fidel Castro pronto a inviare soccorso in personale e medicine, e persino l’Italia ha inviato viveri e coperte agli sfollati.

Eppure non siamo di fronte all’Irpinia degli anni ’80 o all’India dello scorso anno. In un Paese che aveva capacità di previsione e di anticipazione rispetto alla tragedia inarrestabile dell’uragano nessuno si è mosso in tempo per evitare la morte di tante persone, la povertà presente e futura di chi ha perso parenti e case e risparmi, il sacrificio di una intera vita.

Le vittime, quasi tutte di colore, contano tra i propri morti anche molti musicisti, artisti del jazz, talenti svaniti per sempre sotto le acque della disattenzione, dell’inedia, dell’assenteismo governativo.

L’amministrazione Bush dovrà rispondere in Commissione del ritardo sugli interventi d’emergenza e sul taglio dei fondi previsti per la protezione della zona colpita dall’uragano (previsto già dal 2001).

Gli americani, ha annunciato lo speaker della Camera Dennis Hastert, meritano risposte. E anche il resto del mondo, che resta a guardare l’esodo di tanti cittadini inermi chiedendosi dove finisca la ricchezza di uno Stato che aspira a ‘tutelare’ il mondo.


(09/09/2005)