Si può demonizzare la televisione, ma bisognerebbe lasciare in pace il televisore. Esattamente come si può adorare un dipinto, ma non ha senso osannare il pennello. Dietro questi esiti c’è inevitabilmente l’uomo e dietro l’uomo un’estetica, un mercato, un pubblico. Quando si parla di digitale terrestre – e per ora lo fanno in pochi – forse si dovrebbe iniziare da qui. Dalla neutralità etica della tecnologia. Dunque, senza fideismi aziendalistici o livori anti-global, dal concedere al neonato interattivo la presunzione d’innocenza. Il digitale terrestre non ha colpe né meriti; nel caso un giorno ce la vorremo prendere con qualcuno sarà meglio scegliere gli uomini: oltre che più appagante, è più utile.
Cos’è e cosa consente, allora, questa tecnologia? Perché c’è chi parla di rivoluzione? La differenza di base con la televisione odierna sta nel segnale di trasmissione: questo viaggerà sempre attraverso l’etere, ma la sua codifica, anziché analogica, sarà digitale, cioè realizzata tramite il codice binario. Riassumiamo le principali conseguenze di questa novità.
Aumento dell’offerta televisiva. Il digitale terrestre consentirà, attraverso sistemi di compressione del segnale, di far viaggiare da quattro a dieci volte più canali televisivi di quelli odierni nello stesso spettro di frequenze. Potremmo arrivare ad avere alcune decine di canali nazionali, oltre a un numero assai più ridotto dell’attuale di televisioni locali, aventi una linea editoriale di maggiore interesse o di utilità pubblica. I canali generalisti come li conosciamo oggi continuerebbero probabilmente a esistere, per la loro funzione di “piazza” mediatica difficilmente sostituibile. Ma sarebbero affiancati da una quantità di nuove reti dai target più circoscritti e dai contenuti specifici. Canali ambientalisti, televisioni dedicate ai documentari, o all’arte, o ai viaggi, reti televisive di cartoni animati o di cucina, tv straniere. Il digitale terrestre è un paniere vuoto e piuttosto capiente che attende di essere riempito. Teoricamente anche quella parolaccia che è il “pluralismo” potrebbe trovare una sostanza: c’è spazio per tante nuove voci, auguriamoci che non tutte diranno le stesse cose.
Interattività. Patate da divano. Gli americani chiamano così (“couch potato”) quegli individui che succhiano televisione come fosse coca cola in una flebo. Ne ingurgitano litri, non mettono quasi filtri. Un caso sociale, che esiste anche da noi. L’interattività è un grimaldello che nei sogni di alcuni studiosi o addetti ai lavori può almeno sollevare la schiena della patata dallo schienale del divano. Al di là di questo l’interattività può significare nuove opzioni, nuovi stimoli per l’utente “normale” e ancor più per quello curioso. Stiamo vedendo un documentario sulla barriera corallina e ci interessa una scheda di approfondimento su un certo pesce? Basterà premere un paio di pulsanti sul telecomando. Allo stesso modo potremo influire sull’andamento di un confronto politico, sul percorso concettuale di un talk show, magari scegliere il finale di un film… Sarà possibile anche semplicemente giocare in diretta a un game show, richiamare un filmato di backstage, votare un personaggio che ci piace. Avremo la possibilità di acquistare oggetti via tv con un paio di clic. Il linguaggio della tv muterà almeno in parte, il panorama dei generi potrebbe essere ridisegnato. E l’interattività non avrà ricadute solo a livello contenutistico, ma anche su tempi e modi della fruizione. Potremo creare palinsesti personalizzati sulla base dei nostri gusti, selezionare i programmi che desideriamo all’orario che ci è comodo, saltare le pubblicità, rispondere a una telefonata e far riprendere la trasmissione esattamente da dove l’avevamo lasciata…
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Aumenta la nostra libertà, la nostra possibilità di scegliere, di approfondire, di escludere. E’ una libertà limitata ovviamente: la nostra autonomia di scelta sarà confinata all’interno di una serie di opzioni ideate da qualcun altro. Ma tutto sommato è così anche su Internet (ancora più in grande). La realtà è che ci troviamo dinanzi a un dispositivo che può cambiare pratiche produttive e fruitive della televisione in modo forte.
Si pensi poi che l’interattività non sarà solo collegata alle trasmissioni tv, ma nel tempo verranno implementati servizi che consentiranno all’utente di comunicare con gli uffici pubblici, con la banca, con il medico, con il cinema: si potranno effettuare prenotazioni, richiedere certificati, porre domande via mail o via forum, navigare su siti Internet. Nel tempo forse si potrà anche votare per le elezioni. Secondo la visione di molti governi la televisione interattiva potrà diventare una sorta di surrogato di Internet, più diffuso presso la popolazione e più facile da usare. Sarà reso disponibile un servizio fondamentale a una larga fascia di persone che ora ne sono escluse perché mancanti di un’alfabetizzazione informatica.
Queste sono le buone notizie, raccontate in estrema sintesi per motivi di spazio. Forse non sono nemmeno tutte così positive, ma nell’insieme siamo davanti a una svolta sostanziale, che nel giro di cinque-dieci anni renderà la televisione – cioè il medium dall’influenza culturale più potente che esista – qualcosa di molto diverso da ciò che oggi conosciamo. C’è l’opportunità di trasformare la tv da veicolo di quel blob che conosciamo a medium che promuova pensiero critico, cultura, democrazia e un divertimento un poco meno scemo. Naturalmente questa è la visione ideale, persino fiabesca per chi conosce un poco la storia della televisione in Italia. Ma l’ideale spesso è un buon punto di partenza, anche solo se serve a capire fin dove siamo rotolati.
Ora tocca agli uomini. Le indicazioni non sono troppo incoraggianti. Il mercato è timido e spompato, la politica vischiosa. Se ci atteniamo a quanto visto finora, al di là delle belle parole scritte su qualche documento ufficiale, il digitale terrestre è soltanto l’ennesima fetta di torta, forse un po’ più zuccherosa delle precedenti. Non molti anni fa Popper reclamava un “patentino” per gli operatori della televisione, che ne comprovasse sia la competenza che le qualità etiche. Aveva chiaro che la televisione è uno snodo fondante della cultura contemporanea. E che a realizzare le cose bene o male sono le persone. Ora la televisione sta per diventare digitale: milioni di bit, antenne e schermi ci chiedono cosa devono fare.
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