DIAMANDA GALAS. ARCHITETTURE, TRA ESILIO E LIBERTA'
Si conclude la Milanesiana con il concerto di Diamanda Galas al Teatro Dal Verme
di Damiano Cristilli
La Milanesiana delle Meraviglie: 16mila spettatori nel nuovo spazio del Teatro Dal Verme, un successo inaspettato per una serie di eventi tutt’altro che “facili”: incontri, ibridazioni di generi, complessi e coraggiosi. Questa sesta edizione ha superato due prove non scontate: la scelta di uno spazio che ha una capienza tripla rispetto al Palazzo Isimbardi e la novità degli appuntamenti con l’autore il mattino successivo alla serata in programma.

L’interesse degli argomenti trattati ha coinvolto i protagonisti stessi che si sono uniti al pubblico per seguire ed applaudire i partecipanti delle altre serate in uno scambio culturale ricco e inusuale per questa città, più abituata all’evento in sé che a generare dialettica tra i protagonisti della cultura cosiddetta “alta” o trasversale che dir si voglia.

Ben tre concerti, reading, performance musicali e proiezioni cinematografiche con successivo incontro con i registi; questo il programma ricco di un evento atipico nel panorama milanese.

L’ultimo concerto ha visto sul palco due personaggi sicuramente estremi nella loro produzione:
Adonis e Diamanda Galas.
Ali Ahmad Said Esber, questo il vero nome di Adonis, è nato nel 1930, considerato uno dei maggiori poeti di lingua araba viventi, ha vissuto a Damasco, Beirut, New York, Parigi, dove ora vive. Ha pubblicato di recente “Riflessioni sull’Islam”, una raccolta di saggi e riflessioni sulla cultura araba sul suo rapporto con il mondo Occidentale.

Il fil rouge che lega Diamanda Galas ad Adonis è il tema dell’Esilio. Il poeta ha letto sul palco una sua composizione in lingua araba (composta nel 1974) dedicata ad una New York ferita nell’anima, quasi una macabra anticipazione della tragedia del 2001.

Un lungo, sofferto e a tratti tenero dialogo tra il poeta e la città che appare come un animale ferito, sfibrato, percorso da un’umanità accecata dal potere e dal denaro, dominata da una classe politica feroce e bellicosa (di straordinaria attualità, vero?)

La memoria, forse l’unica consolazione dell’esiliato, è un altro elemento che accomuna i due interpreti di quest’evento: Diamanda Galas ha dedicato il suo ultimo lavoro “Defixiones, Will and Testament” alle vittime dimenticate dei genocidi avvenuti in Armenia e in Anatolia dal 1915 al 1922 .

Questa straordinaria interprete cresce a San Diego da genitori di origine greco-ortodossa, studia pianoforte e sviluppa una tecnica interpretativa personale che la porta a sperimentare diversi generi, dal blues al rock fino all’interpretazione di questa sera che sorprende non poco i fans.

Se si parla di Diamanda Galas non si può dimenticare la sua carica eversiva, le sue esibizioni al limite del sacrilego (celebre una sua foto che la ritrae nuda e crocefissa), le sue pose da icona gotica, forte di una genetica predisposizione alla tragedia.

Accusata di satanismo e ispirazione di tanti altri “maledetti”, (mr Manson in testa), è sempre sfuggita ad ogni classificazione, collaborando con artisti diversi (Mick Jones), ispirandosi ad autori “maudit” come Baudelaire ed Edgar Allan Poe.

Ma quello che avviene sul palco del Dal Verme è qualcosa di nuovo: la sua voce riesce ad esprimere un dolore universale, si trasforma nelle urla delle donne che tengono tra le braccia il figlio morto dopo un bombardamento, ne fa musica sacra, ne fa canto funebre che non lascia scampo. Tutto risuona di questa angoscia cupa.

Diventa Muezzin che prega da un minareto di una città deserta sconvolta dalla guerra. Voce che raccoglie in sé lo strazio dei vinti, voce che diventa sussurro e grido disarticolato, un’ Ecuba contemporanea. Un concerto difficile ma necessario, un monito a non dimenticare le tragedie del passato e a non distogliere gli occhi da quelle del presente.


(11/07/2005)