BATALLA EN EL CIELO – BATTAGLIA NEL CIELO
TITOLO ORIGINALE: Batalla en el cielo REGIA: Carlos Reygadas CON: Marcos Hernandez, Anapola Mushkadiz, Bertha Ruiz MESSICO/BELGIO/FRANCIA/GERMANIA 2005 DURATA: 98 minuti GENERE: drammatico VOTO: 4
di Lorenzo Corvino
Un uomo dalla possente stazza fisica, abbastanza taciturno, ma non per questo riflessivo, gestisce con la moglie una bancarella sotto il tunnel della metropolitana a Città del Messico. Osserva l’umanità che gli passa davanti. Ama sua moglie nonostante questa abbia una stazza sgraziata ancora più ingombrante della sua. Contemporaneamente egli svolge il ruolo di sorvegliante durante il rito quotidiano dell’alzabandiera.

Fin qua la premessa di un film in cui tutto sembra predisporsi a favore del documentario piuttosto che della finzione. Una realtà esplorata tramite lo sguardo di due individui corpulenti, metafore ambulanti di un unico grande corpo flemmatico che è Città del Messico, una delle città più popolose al mondo, sovraffollata e di conseguenza sovrabbondante di realtà marginali e contesti di povertà e degrado.

Poi si insinua l’intreccio. Si accenna ad una storia d’amore del protagonista con una ragazza carina e appariscente, piacente secondo i gusti contemporanei, magra come le donne delle riviste e pettinata alla moda. Ella è una prostituta, o forse è meglio dire le piace fare la prostituta, dal momento che dagli sporadici dialoghi, che riempiono questo film molto lento e quasi del tutto privo di ritmo nella scansione degli eventi, si deduce che è figlia del padrone del nostro protagonista. Per cui non se ne vede la ragione del suo vendersi.

E’ chiaramente un film che vuole lasciare fuori la verosimiglianza nello svolgimento del triangolo dei tre personaggi principali, e che invece vuole offrire un punto di vista agorafobico della città in cui vegetano essi stessi. La fotografia restituisce dei colori volutamente sbiaditi di questa megalopoli. Il regista alla sua opera seconda, per mezzo di questo uomo remissivo che da vittima diventerà carnefice nel suo personale giorno di ordinaria follia, vuole esprimere una feroce critica alla sua società: tutti sembrano sapere dove vanno, di corsa e indaffarati, e chi questa consapevolezza di sé ancora non l’ha acquisita resta indietro, fermo e passivo, subisce e paga.

La bella ragazza che si prostituisce umiliandosi quando potrebbe far di meglio, è chiaramente un’allegoria non tanto originale della madrepatria svalutata e svenduta, e l’uomo che col suo amore vorrebbe redimerla è altrettanto palesemente la manifestazione del corpo sociale enorme e omogeneo dei reietti e di coloro che sono privi di potere, che hanno solo l’arma delle loro passioni e pulsioni. Da qui la sequenza finale del pellegrinaggio al santuario. Come dire che l’unica consolazione che resta al cosiddetto gigante che dorme, il proletariato urbano, è la fede religiosa.

Tuttavia tutti questi intenti e queste sovrastrutture interpretative nobilitano il film oltre la sua effettiva resa cinematografica. L’assenza di ritmo inficia la volontà riflessiva se quella non è supportata da immagini forti, quantunque prolungate: c’è un continuo uso di panoramiche lente ad illustrare troppi luoghi comuni, che non aggiungono nulla di nuovo al senso di affollamento urbano e svuotamento esistenziale già appartenente all’immaginario collettivo.

Troppo esile e volutamente ambigua l’impronta di intreccio per fare in modo che lo spettatore si affezioni ai personaggi, specialmente alla luce della sequenza finale dove si assiste ad un’accelerazione di ritmo e ad una progressione della trama in cui ormai è troppo tardi per sperare che ci sia pathos. Decisamente non meritevole di stare nella sezione del concorso a quest’ultimo festival di Cannes. Titolo inspiegabile.


(31/01/2006)