Si sa che il sonno è il gemello della morte e che,come la morte, è un tesoro occulto, i cui gioielli più intimi però, a differenza di quelli di sua sorella così simile e diversa, ci vengono rivelati ogni notte, per poi svanire, nella quasi totalità dei casi, al risveglio. Questi gioielli intimi e misteriosi sono i sogni.
Di sogni è ovviamente piena la letteratura di ogni luogo, tempo e genere, ed era forse inevitabile che prima o poi un lettore onnivoro come Jorge Luis Borges compilasse una sua personale e singolare antologia di testi letterari che trattano di sogni, il Libro di sogni, appunto, disponibile in italiano nella traduzione di Tilde Riva per gli oscar Mondadori.
In questa antologia, uscita per la prima volta in Italia nel 1985, lo scrittore argentino spazia, solo per fare qualche esempio, dai racconti babilonesi alla letteratura sacra della Bibbia, dai testi classici greci e latini a quelli cinesi, dai racconti popolari arabi alle poesie di Ungaretti, fino ad arrivare a citare anche alcune sue pagine celebri, come quelle dedicate al racconto della composizione del famoso frammento lirico Kublai Khan di Coleridge, i cui versi furono ascoltati dal poeta inglese in sogno.
Come in ogni miscellanea di testi vari, anche in questa curata da Borges ogni lettore tenderà a segnare alcune pagine piuttosto che altre, a ricordarsi di alcuni aneddoti piuttosto che di certe narrazioni, a rimanere colpito da una immagine singolare invece che da una spiegazione forse troppo prolissa; insomma, a scegliere quello che in qualche modo entrerà a far parte, per dirla alla Hemingway, della sua esperienza di lettore.
Inutile dire che per quanto mi riguarda diversi testi di questa raccolta sono entrati a far parte della mia esperienza di lettore.
Osservazioni come quella del saggista inglese settecentesco Joseph Addison, per il quale “l’anima umana, quando si sbarazza del corpo e sogna, è al tempo stesso teatro, attori e pubblico”, o celebri aneddoti come quello della tradizione taoista che narra del sogno di Chuang Tzu, il quale “sognò di essere una farfalla e al risveglio non sapeva se fosse un uomo che aveva sognato di essere una farfalla o una farfalla che in quel mentre sognasse di essere un uomo”, sono, credo, difficilmente dimenticabili. Ma ancora più indimenticabili per me sono stati e continuano ad essere due brevi racconti che Borges inserisce verso il termine del volume: Il ritorno del maestro e Storia dei due che sognarono.
Il primo è tratto da un libro sui mistici e i maghi del Tibet, il secondo è una storia delle Mille e una notte, una storia che una scrittrice come la Blixen avrebbe definito immortale, e che non a caso è stata l’ispirazione e la base narrativa di uno dei libri di maggiore successo degli ultimi dieci anni, L’alchimista di Paulo Coelho.
Convinto come sono che l’unica maniera per consigliare adeguatamente un libro che ci è piaciuto sia quella di farne scoprire i passi che noi stessi abbiamo evidenziato, ecco qui (vedi link a destra) la trascrizione fedele dei due racconti di cui ho parlato. Che altro dire? Spero che a chi li leggerà piaceranno come sono piaciuti e continuano a piacere a me.
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