DAVID DI DONATELLO: UN PREMIO DI PROVINCIA
Star e strafalcioni del più importante premio cinematografico italiano. La qualità dei film salva la serata.
di Daniela Mazzoli
E’ andato in onda in differita su Raiuno il 29 aprile 2005: il premio italiano del cinema, che corrisponde ufficialmente alla più famosa Notte degli Oscar americana, era presentato da Mike Bongiorno con l’affiancamento di Luisa Corna.

24 le categorie premiate, 13 i film candidati in varie categorie, escluse –s’intende- quelle riguardanti cortometraggi, esordienti e film stranieri.
Cinque i premi per “Le conseguenze dell’amore”, due per “Cuore Sacro”, “Manuale d’amore” e “Certi bambini”, uno per “Le chiavi di casa”, “Dopo mezzanotte”, “Ma quando arrivano le ragazze” e “Il resto di niente”. Per la canzone di “Christmas in love” ha ricevuto un premio anche Tony Renis, che però se ne è subito liberato dedicandolo alla moglie.

Nella routine di assegnazione dei premi, che diventa inevitabilmente soporifera dopo i primi due applausi e riverenze di rito, tutti i protagonisti della chermesse si davano a commenti col vicino di poltrona e a malcelati sbadigli. E siccome la telecamera era lì a inquadrarli per noi (sempre meglio di un primo piano del venerando Mike) dissimulavano i pensieri reali con un sorriso di circostanza. Come di solito si fa in queste occasioni.

Poi tutti aspettavano la svolta, il picco d’ascolti, l’entrata in scena dell’attore d’oltroceano che arrivava con un ampio sorriso a ritirare il suo David “firmato”.
Lui era già stato un’ora a firmare autografi e scattare foto coi suoi fans in passerella, accompagnato dalla nuova, fiammante, giovanissima fidanzata. E a un certo punto è apparso vestito di nero, impeccabile, elegantissimo in cima alle scale. Era lì imbarazzato, con l’espressione emozionata di chi riceve per la prima volta un premio e cerca di dire qualcosa al suo insospettato pubblico.

Forse era arrivato anche per sentirsi porgere un paio di domande pertinenti sul film in uscita la prossima estate, “La guerra dei due mondi”. Ha aspettato, ha atteso con semplicità e cortesia che il nostro presentatore facesse l’ospite in modo appassionato. E invece quel genio (che purtroppo è solo il titolo di una sua trasmissione) si è messo a cincischiare sul cognome dell’attore. Cruise ha risposto senza difficoltà e per gentilezza ha detto che no, il suo cognome potevamo continuare a pronunciarlo “cruise”, come sempre. Ma Mike non aveva ancora esaurito la gag. Continuava a sostenere che la pronuncia esatta era “crus", forse per mettere in evidenza di essere l’unico in Italia a conoscere bene l’inglese, forse per darci una prova che lui viene davvero da quel ‘fantastico paese’ che è l’America.

Persino dal piccolo schermo arrivava il senso di generale abbattimento e imbarazzo degli artisti in sala. Si capiva che non avrebbero voluto sentirsi rappresentati così, alla buona, da un signore che ha scritto una fetta di storia della tv e che adesso, magari, dovrebbe iniziare a leggere qualcosa anche solo abbozzato da altri.

Nemmeno un’anima semplice come quella di Luisa Corna riusciva a sorreggere l’ennesima gaffe del conduttore alla terza o quarta sottolineatura che il Donatello per Tom era stato disegnato e realizzato da Bulgari. Come se Cruise avesse bisogno di ricevere un premio per avere tra le mani un pezzo del famoso stilista di gioielli.

Che pena, che desiderio di essere altro, di essere altrove, di non sembrare quel che siamo: una piccola provincia dell’impero in cui ogni tanto viene spedita la star a far contento il popolo come un fenomeno circense!

E poi c’è un’altra cosa: come mai tutti i grandi saliti sul palco ci tengono a ricordare che dopo un paio di giorni in Rai, quando erano giovani e pieni di speranze, sono scappati a gambe levate per poter fare qualcosa di bello nella vita? A me, almeno, è venuta un po’ di malinconia.


(04/05/2005)