COCO CHANEL
… LA RIVOLUZIONE CONTINUA…

Tratto da DONNA & BENESSERE n° 1 «Se sei nato senz’ali, non fare mai nulla per impedire loro di crescere»… Queste le parole di Coco Chanel, un personaggio leggendario che dal nulla ha rivoluzionato i costumi e la moda del Novecento. Il suo stile non tramonta però nel XX secolo, ma è vivo più che mai grazie al geniale Karl Lagerfeld il quale ha saputo sapientemente sostenere il peso di un’eredità che lo vede grande protagonista di una rivoluzione tutta al femminile che dura nel tempo…
di Sabina Galandrini
«Voglio un profumo per donna dall’odore di donna»… Con queste parole Coco Chanel, nel 1921, chiese ad Ernst Baux quell’elaborata essenza destinata a divenire la più famosa del mondo. Chanel festeggia così il suo quarantesimo compleanno regalando alla donna un profumo nel suo stile, che non avesse «Nessun olezzo di rose o mughetto», fragranze dolciastre fino ad allora proposte alle donne. Dunque un flacone squadrato, dal design severo e maschile, che rinuncia anche ad un nome romantico in favore di un numero – il 5 – la quinta miscela che scelse tra quelle a lei proposte, un numero che le evocava “sensazioni positive”. Un profumo rivoluzionario che conquistò il mondo, come del resto la sua creatrice che accompagnò la donna nella lotta per l’emancipazione donandole un’uniforme vincente, pari a quella maschile. Nelle sue migliori creazioni – il semplice filo di perle, l’abitino nero, le scarpe decolleté bicolore e, non ultima, la sua stessa personalità – emerge una miscela alchemica di rigore e bellezza, una perfezione dall’effetto immediato che trascende la moda per divenire un “ideale”. Quell’ideale che mira a liberare la donna dalla sua prigione interiore creata dall’impossibilità di vivere la propria femminilità con la mobilità metaforica e concreta che appartiene all’uomo. Ed è proprio da quell’ambita eleganza maschile, simbolo di forza e di potere, che lei attinse il vocabolario del suo intramontabile look: bottoni e bordature, jersey e tweed, giacche e cardigan senza collo. Comodità, qualità ed eleganza resero attraente il corpo femminile, per la prima volta, senza doverlo denudare. Una moda che non voleva vendere nuove silhouette ma uno stile di vita e che si preannunciò come la base della modernità: garantire alla donna la libertà di essere “donna”, senza essere vittima di volant e seta; un abbigliamento che permetteva il movimento, così funzionale da concederle di potersi completamente dedicare al mondo esterno. Mentre gli stilisti uomini del suo tempo si crogiolavano nelle stravaganze, lei pensava ad una donna essenziale, pratica ma raffinata, capace di esprimere fascino e grinta, ricchezza e semplicità, ribellione e disciplina. Il sopperire a questo modello nel ‘47, quando Dior trionfò a Parigi con il suo New Look della donna-confetto, col vitino da vespa che cammina a piccoli passi, la costringe a ritornare dal suo volontario esilio dall’Alta Moda: i fantasmi, che negli anni ‘20 avevano schiacciato la donna con stecche e guépière, erano tornati; la moda era nuovamente dominata dal sottile giogo maschilista! E così la settantaduenne Coco, ancora una volta, si ribellò a quel modo di “pensare la donna” con un capo di vestiario che porterà per sempre il suo nome, un’impresa mai riuscita a nessun altro stilista né prima né dopo di lei: “il tailleur Chanel”, un completo apparentemente semplicissimo con passamano e gonna sotto il ginocchio, ancora oggi simbolo di eleganza in tutto il mondo, capace di sopravvivere ad ogni tendenza e a qualsiasi lunghezza imposta alle gonne grazie al suo tessuto, meravigliosamente leggero, di tweed, e alla lavorazione, impeccabile in ogni situazione.


La stessa immortalità del tailleur appartiene, del resto, alle sue iniziali – le due C incatenate l’una all’altra – che stanno per Coco Chanel. Immortali perché Gabrielle, detta Coco – dal nome delle canzoni “Qui qu’a vu Coco” e “Ko-Ko-Ri- Co”, da lei cantate una volta al caffè concerto “La Rotonde” – nonostante le sue origini e il suo aspetto minuto, si rivela una donna con molta grinta capace di scelte audaci che saboteranno i canoni della moda femminile. Innanzitutto inventa il “lusso della povertà” grazie al jersey, un materiale cedevole fino ad allora utilizzato solo per la maglieria intima, che permette grande libertà di movimento. La piccola Gabrielle con quest’idea, semplice ma geniale, ebbe il coraggio di fondare su un tessuto poco appariscente lo stile che l’ha contraddistinta. La flessibilità del jersey, in effetti, ben si adattava a trasformare in realtà, l’immagine della sua donna moderna che, iniziando ad occupare ruoli lavorativi un tempo ricoperti dagli uomini, aveva ora bisogno di liberarsi dalle tante costrizioni che costipavano il suo corpo.
Un look capace di resistere anche durante la prima guerra mondiale, quando molti atelier, come quelli di Poiret e di Voinnet, chiusero, e l’unica “vincitrice di guerra” fu lei, con i suoi pratici completi che superarono magnificamente la crisi: le parigine sfollate facevano lunghe file per gli innovativi e lineari abiti non appesantiti da ornamenti e cianfrusaglie varie.
Chanel propose quindi alle sue prestigiose clienti «l’arte di vestire semplicemente, spendendo una fortuna» e poiché questo genere “casualmente” sembrò essere consono anche alle tecniche della produzione di massa, ben presto venne largamente emulato, spingendo la moda a compiere un grande salto.
In una coerenza ammirevole Coco compì un ulteriore coraggiosa rivoluzione: l’uso del “gioiello finto” mescolato allegramente alle pietre preziose, un incarico che Chanel affidò ad illustri artisti ed artigiani per conferire alla bigiotteria una specifica qualità. In questo modo, per la prima volta, fu possibile indossare i collier di strass, alla stessa stregua dei diamanti, con abiti da sera nelle serate di gàla. Paillette di metallo o di cristalli e strass furono improvvisamente valorizzati, divenendo adatti ad essere cuciti o incollati direttamente su tessuti pregiati.



La sua battaglia contro le mollezze floreali e gli ornamenti d’anteguerra continuò poi con l’affermazione del “petit noir”, l’intramontabile bestseller per sempre legato al suo nome. Un assolo per un colore, il nero, il segno distintivo del lutto che diviene sinonimo di eleganza che da Chanel in poi potrà essere testimoniata dall’abitino nero, indossato anche da Audrey Hepburn nel 1960 in “Colazione da Tiffany”. Un passe-partout per ogni circostanza, elegante ma non vistoso, e per questo divenuto una costante indiscutibile nelle collezioni di numerosi stilisti; il tubino in crepe de Chine nero viene definito dalla rivista americana Vogue, per la sua elegantissima funzionalità, “la Ford della moda”.
Questa “Ford”, oggi sfavillante come allora, si guida ancora nei cocktail di tutto il mondo e viene costantemente aggiornata da Karl Lagerfeld, stilista freelance che raccolse nel 1983 questa pesante eredità che lui, sapientemente, ha saputo sostenere conservando la profonda autorevolezza di Chanel. Lo stilista d’Amburgo, già sovrano di molte case di moda che grazie alla sua direzione creativa sono riuscite ad espandersi, è per molti versi simile a mademoiselle Coco nella geniale creatività dei suoi modelli con cui interpreta le esigenze della donna e della realtà moderna. Il suo contributo, vissuto con il coraggio di chi sa di poter emergere anche all’ombra di un grande mito, è la reincarnazione del leggendario stile Chanel, come nessuno avrebbe creduto possibile al suo debutto nella storica rue de Cambon, nel 1983. Tra gli innovatori con il più alto grado di immaginazione del XX secolo, “Kaiser Karl” ha saputo restituire all’alta moda «un avvenire migliore con gli elementi del passato» ed è riuscito a riavvicinare le donne a Coco, rendendo moderni e avanguardisti come sempre i suoi abiti da sera. Stoffe leggere, freschezza, un’eleganza pulita e raffinata… Queste le collezioni di Karl che sembrano voler chiudere il cerchio rivoluzionario dell’artista Coco… Colei che ha impersonato ciò che gli inglesi definiscono “tough”, ossia l’artista della sopravvivenza… Lei che, avendo sperimentato sul proprio corpo quanta finzione ci sia nella moda femminile, fece alle donne il regalo più prezioso: indicare a coloro che lottavano per l’emancipazione un nuovo cammino.



(07/06/2004)