AGRICOLTURA

Wendell Berry, poeta dell’agricoltura tradizionale. Seconda parte

Vi proponiamo la seconda parte dell'articolo nato dall'incontro con Wendell Berry. Attraverso la cura e l'amore verso la terra, che solo l'uomo è in grado di dare, può sorgere un nuovo modello agricolo sostenibile ed innovativo: il saggio poeta ed agricoltore americano propone un ritorno all'agricoltura tradizionale.

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di Francesco Bevilacqua

Wendell Berry
Wendell Berry è un poeta, uno scrittore ma soprattutto un contadino
Una delle conseguenze più gravi e avvilenti del sistema agricolo, alimentare e produttivo moderno è – secondo Berry – la solitudine. Essa si può poi declinare in maniera diversa a seconda degli ambiti specifici di cui si parla: l’avventore del fast food - che consuma il suo pasto frugale e geneticamente alterato in un locale, attorniato di gente frenetica, sola come lui – vive una sorta di alienazione, la quale lo porta a considerare una pratica – il pranzo - che in passato era connessa alla socialità, alla comunione, allo stare insieme, come una scocciatura da compiere nella maniera più sbrigativa possibile, senza nessuno intorno che con inutili chiacchiere lo distragga e lo deconcentri, perché in fondo il tempo è denaro e, se non fosse un bisogno fisiologico, l’alimentazione potrebbe essere tranquillamente considerata superflua.

Questo tipo di rapporto “alienante” non allontana solo i commensali gli uni dagli altri (siano essi i frequentatori dello stesso bar o i membri di una famiglia riuniti in sala da pranzo), ma incrementa in maniera incolmabile anche la distanza fra chi sorbisce il cibo e chi lo produce, fa sì che l’unica informazione che il consumatore possa avere sia il prezzo stampato sul menù di qualche fast food, lasciando solo alla sua fantasia – quelle rare volte che egli ha tempo e voglia di usarla – il compito di immaginare il viso del contadino che ha raccolto i frutti che sta mangiando o il paesaggio segnato dai filari della vite che prodotto il vino che sta bevendo.

Ma la solitudine è anche l’isolamento politico dei produttori e dei consumatori che si battono per la valorizzazione di un sistema agroalimentare sostenibile, basato su canoni tradizionali e naturali. Berry ritiene che i gruppi di pressione debbano necessariamente radicarsi nelle città, vicino ai luoghi dove si svolge il processo decisionale e alla portata dei media e dell’opinione pubblica. I contadini appartati, estranei al contesto urbano, godono di scarso potere contrattuale e – isolati e solitari – hanno poche possibilità di battersi con successo in favore della loro causa.

Raffigurazione dei campi
Wendell Berry da tanti anni pratica in prima persona e diffonde in tutto il mondo i metodi dell'agricoltura tradizionale, naturale e sostenibile

Una frase che Wendell Berry ha ripetuto spesso rispondendo alle varie e incalzanti domande dei giornalisti sull’attualità del dibattito politico e culturale sulla sostenibilità, è stata: «Io non ho in tasca un piano per cambiare il mondo». Il primo suggerimento per cominciare a incidere sullo status quo attuale è quello di «cambiare prima di tutto la propria concezione», rendersi conto che non è la natura che si deve adattare ai ritmi produttivi garantiti dalla tecnologia e da essa imposti, quanto piuttosto la tecnologia stessa che deve mettersi al servizio della natura. Messaggio importante questo, poiché ribalta un fraintendimento concettuale di fondo che sta alla base di molti dei mali della società moderna e al tempo stesso rifiuta di rifugiarsi in un inutile primitivismo, in un ripudio aprioristico di tutto ciò che l’intelletto umano ha prodotto nel corso della storia.

Semplicemente, suggerisce Berry, lo standard primario di cui tenere conto deve essere il benessere della terra e la salute del luogo, verso i quali tutto il resto – manodopera, utilizzo delle macchine, sviluppo tecnologico – deve essere orientato.

L’uniformità è, secondo l’agricoltore americano, una dote importante che la tecnologia – se utilizzata con senno, questo è ovvio – è in grado di fornire. Uniformità che deve essere combinata con l’eleganza che l’agricoltura sostenibile, attraverso l’intervento diretto dell’uomo e la cura e l’amore per la terra che egli solo è in grado di dare, può garantire. Attraverso queste due caratteristiche – uniformità ed eleganza – opportunamente miscelate può nascere un nuovo modello agricolo al tempo stesso sostenibile e innovativo.

Spiegavo nella prima parte dell’articolo come Wendell Berry rifiuti ogni incasellamento concettuale e terminologico. A chi infatti gli ha domandato cosa ne pensasse del cibo e dell’agricoltura biologica, egli ha risposto in maniera semplice e intuitiva: «A “biologico” preferisco una definizione molto più facile: buono». Questa risposta, che può sembrare lapalissiana, nasconde però un’intelligenza “politica” e comunicativa notevole, soprattutto oggi che, all’infiammarsi del dibattito sulla sostenibilità, il biologico sta diventando quasi un’etichetta, una moda, un trend e una brand (per dirla all’americana). Ecco quindi che, smarcandosi da ogni tipo di strumentalizzazione, Berry definisce il suo prodotto ideale semplicemente “buono”, laddove ovviamente questo termine non sta solo a indicare “piacevole al gusto”, ma vuole soprattutto essere una sommatoria di altre virtù – genuino, naturale, sostenibile, tradizionale – di cui il contadino desidera investire i suoi frutti.

Wendell Berry
Secondo Wendell Berry attraverso la cura e l'amore verso la terra, che solo l'uomo è in grado di dare, può sorgere un nuovo modello agricolo sostenibile ed innovativo

Altrettanto cauto – sebbene ne condivida chiaramente gli obiettivi e i metodi – è nelle considerazioni riguardanti l’ala più movimentista della galassia dei propugnatori della sostenibilità; storce un po’ il naso a sentir parlare di “semplicità volontaria”, abbozzando - a mezza via fra la battuta e la replica - la risposta «attenzione a non essere troppo riduttivi nei termini: i contadini non hanno affatto una mentalità semplice!». Si dichiara poi estremamente contento dell’operato del Movimento per la Decrescita Felice, che ha il grande merito di portare all’attenzione dell’opinione pubblica e della grande comunicazione il problema della non sostenibilità dei ritmi produttivi attuali.

Sempre nell’ottica di un mutamento di concezione, Berry non si dichiara nemico a priori dell’urbanizzazione; richiama piuttosto l’idea di città che esisteva nella Grecia classica – la polis – che comprendeva strade, piazze ed edifici, innalzati secondo canoni costruttivi il meno impattanti possibile, ma anche campagne, campi e boschi, in un armonioso equilibrio a cui contribuivano in maniera paritaria uomo e natura, non in una logica di competizione quanto piuttosto nel rispetto e nella considerazione reciproci.

Eccoci quindi giunti a qualche considerazione finale, semplice ma non banale, chiara e illuminante, com’è nello stile di Wendell Berry. Energie, sviluppo tecnologico, sfruttamento intensivo della manodopera, cibo a basso costo hanno apparentemente il pregio di abbattere i costi economici; questo è vero in parte, ma la conseguenza immediata, la più importante e la più preoccupante è l’altissimo prezzo in termini ambientali, sociali e umani che tali pratiche comportano.

Questo straordinario personaggio infine, ci ha congedato con questa esortazione: «Noi dobbiamo agire adesso e non pensare troppo al futuro facendo programmi che rischiano di diventare irrealizzabili». Parole sagge che tutti noi dovremmo tenere seriamente in considerazione e mettere costantemente in pratica.

24 Febbraio 2009 - Scrivi un commento
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Un lettore ha commentato questo articolo:
30/5/09 14:05, alessandro ha scritto:
sono d accordo .Dei ragionamenti sulla terra l agricoltura e il ruolo dell uomo mi ricordano quelli di un altro maestro "contadino" Tolstoj. ciao Alessandro ,contadino sabino
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