L'indagine Eurispes di cui si è parlato in questi giorni sul Corriere della sera (12 febbraio) afferma che in Italia la percentuale di vegetariani ha raggiunto il dieci per cento della popolazione, per un totale quindi di sei milioni di persone. La più alta in Europa, seguita dalla Germania con il 9%, da Gran Bretagna e Irlanda con il 6% e poi da tutti gli altri paesi dell'Unione con percentuali minime.
I commentatori di tale fenomeno sono divisi tra alcuni sostenitori accaniti che ne hanno fatto uno snobistico integralismo e gli altrettanto accaniti e maggiormente numerosi demolitori di turno che prospettano ecatombi di adulti e bambini in preda alle carenze nutrizionali dovute a tale carestia autoindotta.
Il fatto è che le argomentazioni scientifiche a sostegno dell'una o dell'altra posizione si trovano facilmente e sono ormai alla portata di qualsiasi persona che abbia un minimo di dimestichezza con gli strumenti di una ricerca di studi scientifici e la raccolta di informazioni in banche dati bibliotecarie o, ovviamente, su Internet (tipo MedLine).
Le ragioni dei filocarnivori sono piuttosto risapute e secolari e le fonti e le ricerche che citano sono il frutto dell'incrocio tra una reale preoccupazione per la salute pubblica e degli individui e il senso di perdita di “sana” e atavica libera animalità che una scelta vegetariana comporta.
Le ragioni dei vegetariani hanno avuto un grande impulso in questi ultimi anni grazie alla nuova ondata vegan e vegetariana di carattere ecologista e salutista. Libri come Diet for a New America o The Food Revolution di John Robbins, Diet for a Small Placet di Frances Moore Lappé o infine Ecocidio di Jeremy Rifkin, con la loro mole di citazioni bibliografiche, hanno sicuramente mutato il panorama e la percezione dal punto di vista scientifico rispetto a scelte anche “estreme” come appunto quella vegan.
Informazioni che ormai sono state recepite a livello di individui e movimenti anche in Italia, come abbiamo raccontato in una precedente intervista di Terranauta.
A mio parere, quindi, la questione vegetarianesimo si vegetarianesimo no deve essere analizzata da un altro punto di vista. È la base su cui poggia, ad esempio, la scelta di un mio amico vegan. Di fronte alle mie sollecitazioni rispetto al seguire una dieta corretta con molta attenzione per quanto riguarda eventuali carenze e di fronte alle mie preoccupazioni per la sua salute (quando si dice il potere del condizionamento... sono vegetariano “classico” da quasi trent'anni...) lui mi ha risposto tranquillo qualcosa del genere: “hai ragione, cerco di stare attento e di integrare, ma l'importante è che la mia salute non dipenda dalla sofferenza di altri esseri viventi a noi simili. In caso contrario, sono disposto a farmi carico di una parte di sofferenza anch'io, continuando ad alimentarmi come faccio, nel rispetto degli animali”.
In effetti è tutto qui.
Se volessi trovare argomentazioni che demoliscono il sistema nutrizionale vegan o vegetariano denotandolo come insufficiente a sviluppare una corretta crescita e il giusto fabbisogno energetico le posso trovare, così come posso trovare le solite ricerche a favore dei vegetariani che si ammalano di meno di patologie cardiocircolatorie, cancro ecc. A mio parere è sempre più chiaro che la realtà è molto più complessa della presunta oggettività scientifica.
La scelta sta a monte. E a questa scelta di sofferenza condivisa, che può sembrare molto “cristiana”, nel senso deleterio del termine cui ci hanno abituato gli oltranzisti cattolici, ma che in realtà risponde a un bisogno di amore dell'essere umano, altrettanto naturale di qualsiasi altro suo bisogno essenziale, aggiungerei la necessità oggi di farsi carico di parte della sofferenza del pianeta intero. Infatti, da varie fonti sappiamo ormai come l'impatto dell'alimentazione carnea sull'equilibrio dell'ecosistema terrestre metta a dura prova parecchi parametri ambientali, provocando sfruttamento di suoli, deforestazione, inquinamento, depauperamento delle risorse ecc. Senza contare la sofferenza di altri esseri umani che da tutto ciò ne consegue.
Una scelta d'amore credo non abbia mai controindicazioni, perlomeno a livello di coscienza... che non è poco, dato che tutto o gran parte dell'equilibrio psicofisiologico del corpo e, quindi, il suo stato di salute, parte proprio da lì, dalla condizione di serenità e dall'assenza di conflitti di sorta, miscelate sapientemente con uno stile di vita sano e semplice.
“La soddisfazione dei bisogni ha dei limiti, il piacere non ne ha” (L.N. Tolstoj) e nella situazione attuale abbiamo bisogno di darcene se vogliamo avere un futuro come individui e come specie. Un futuro d'amore.
18 Febbraio 2009 - Scrivi un commento