Viene da chiedersi che fine fanno, una volta introdotti nel corpo umano, queste sostanze dalle dimensioni talmente ridotte da «filtrare» tranquillamente negli organi vitali.
Il giornale inglese Which? ha effettuato una ricerca interpellando sessantasette aziende delle quali solo otto hanno concesso informazioni sull’utilizzo di prodotti contenenti nanoparticelle; molti di questi, peraltro, non vengono sottoposti a test che ne garantiscano la sicurezza.
Una prospettiva poco confortante considerando il potenziale tossico delle nanoparticelle. A tale proposito rammentiamo che proprio alcune settimane fa il nostro giornale ha ospitato un’intervista al Prof. un’intervista al Prof. Stefano Montanari, noto per la sua intensa opera di divulgazione nel campo delle nanopatologie, il quale ha sottolineato le gravissime problematiche relative agli effetti delle polveri sottili sugli esseri umani.
Un allarme sull’uso delle nanoparticelle nell’industria cosmetica arriva dall’Environmental Protection Agency (agenzia di protezione ambientale americana). Secondo uno studio eseguito dall’agenzia, queste componenti utilizzate nelle creme solari, nei dentifrici e in altri cosmetici, avrebbero prodotto il rilascio di sostanze velenose, come dimostra un esperimento eseguito su cavie.
Recentemente a Rochester, la biologa Lisa De Louise ha scelto di approfondire tale problematica spalmando un particolare tipo di nanoparticella fluorescente, chiamato quantum dot, sulla pelle dei topi.
Alcuni animali sono stati esposti ad una lampada ad UV (raggi ultra violetti) per simulare i danni che il sole può provocare su chi si abbronza.
Il dato emerso non è molto rasserenante; la studiosa, infatti, ha notato una differenza sostanziale nel comportamento delle nanoparticelle esposte ai raggi UV rispetto a quelle non esposte.
Le micro particelle nelle cavie esposte ai raggi sono riuscite a penetrare all’interno del corpo, mentre nelle altre vittime dell’esperimento si sono fermate sull’epidermide.
Poiché le lozioni solari contengono spesso polveri sottili di titanio e zinco perché assorbono gli UV, la ricercatrice si riserva di scoprire se questi metalli riescono a penetrare o meno nel corpo dei topi quando sono usati come nanoparticelle nelle creme solari.
Ad essere imputato e considerato potenzialmente tossico è soprattutto l’ossido di titanio, anche se, nonostante i risultati ottenuti siano significativi, è molto presto per lanciare qualsiasi allarme. Infatti, ancora non si sa se, ed eventualmente in che modo, le nanoparticelle di titanio siano in grado di raggiungere il cervello una volta spalmate sulla pelle.
In base allo studio degli scienziati americani l’ossido di titanio - aggiunto a una coltura di cellule cerebrali responsabili della protezione dei neuroni da agenti esterni che ossidano gli “intrusi” - provocherebbe il rilascio prolungato di piccole quantità di sostanze ossidanti che alla lunga causerebbero patologie degenerative come il Parkinson o l'Alzheimer.
Invece secondo altri studiosi, quali Bellina Veronesi della NC State University, dal momento che particelle di grandi dimensioni non sono pericolose per l’organismo, la stessa innocuità dovrebbe valere per quelle più piccole.
In attesa di ulteriori studi, dunque, resta da chiederci se guardare o no con sospetto i 700 prodotti, nei quali vengono utilizzati nanoparticelle, esistenti in commercio: dai frigoriferi alle palline da tennis, dalle automobili ai cosmetici, dai componenti elettronici ai rivestimenti che invadono quotidianamente le nostre vite.
30 Novembre 2008 - Scrivi un commento