Emblematico a questo riguardo è sicuramente quanto accaduto ad Aprilia nel 2005, dove la gestione della distribuzione dell’acqua da parte della società Acqualatina, partecipata al 46,5% dalla multinazionale francese Veolia, ha comportato incrementi delle bollette nell’ordine del 300%, determinando una vera e propria sollevazione popolare da parte di oltre 4000 famiglie che si rifiutano di fare fronte ad un salasso di questo genere.
Forti preoccupazioni a questo riguardo stanno suscitando le novità in tema di liberalizzazioni dei servizi pubblici, introdotte dal decreto Tremonti che mira a liberalizzare la gestione dei servizi pubblici locali, affidandoli a società private o pubblico/private all’interno delle quali il socio privato non detenga una quota inferiore al 30%. Particolare apprensione è stata determinata dall’approvazione, avvenuta lo scorso 5 agosto, dell’articolo 23 bis del decreto legge 112 che di fatto sottomette alle regole di mercato la gestione dei servizi idrici, snaturando la figura stessa dei “Comuni” che da enti deputati ad operare nell’interesse collettivo si trasformano in soggetti finalizzati alla costruzione del profitto proprio attraverso la gestione privatistica di quei beni, come l’acqua, che dovrebbero essere patrimonio di tutti.
Dal momento che gli acquedotti rientrano nel novero dei beni demaniali sarebbe alquanto azzardato giustificare come “occasionale” la loro concessione a delle società per azioni che dalla gestione di un bene inalienabile come l’acqua ricaveranno profitti continuativi.
Il decreto Tremonti rappresenta solamente il terminale di tutta una lunga serie di leggi e provvedimenti che a partire dagli anni 90 hanno progressivamente svenduto il patrimonio pubblico, contribuendo a creare monopoli privati o pubblico/privati che gestiscono i servizi primari per i cittadini unicamente nell’ottica della massimizzazione del profitto.
Oggi in Italia le condizioni della rete idrica risultano essere estremamente precarie a causa della scarsità d’investimenti pubblici e della loro cattiva gestione, facendo si che quasi un terzo dell’acqua incanalata nelle tubature si disperda prima di arrivare nelle abitazioni. Una situazione che potrebbe per molti versi favorire chiunque intenda subentrare al pubblico nella gestione degli acquedotti, mirando ad ottenere il controllo del business relativo alla distribuzione della “merce acqua” che costituisce un obiettivo assai ambito in quanto potenzialmente in grado di generare enormi profitti.
L’apertura ai privati e la volontà di trasformare il bene acqua in una merce che sarà venduta a caro prezzo da multinazionali come Veolia, già specializzate nel settore, o dalle multiutility quotate in borsa come A2A ed Hera, che oggi accumulano fortune miliardarie attraverso l’incenerimento dei rifiuti, non induce purtroppo ad essere ottimisti. Purtroppo anche la voce “acqua” sarà destinata fra qualche anno ad incidere in maniera significativa (e forse insostenibile) all’interno dei sempre più scarni bilanci familiari degli italiani.
12 Novembre 2008 - Scrivi un commento