di Matteo Andreozzi
Professor Capra, lei nella sua carriera si è occupato, nell’ordine, prima di scienza (e per certi versi anche di spiritualità), ecologia, economia e politica, poi di istruzione e negli ultimi anni sta scrivendo dei libri che riguardano un personaggio poliedrico come Leonardo Da Vinci. Quale autore è stato la sua principale fonte di ispirazione, visto che il suo lavoro è culturalmente così ampio?
Ho cominciato la mia carriera come scienziato, occupandomi di fisica teorica e laureandomi a Vienna. A diciotto anni, quando ero ancora studente, mi ricordo di avere letto un libro di Werner Heisenberg dal titolo Fisica e filosofia. All’epoca ne capii solo la metà, ma mi ispirò moltissimo. Nel testo Heisenberg raccontava con grande passione dei problemi non solo razionali, ma anche emotivi ed esistenziali, che gli scienziati atomici dell’epoca si trovavano a dovere fronteggiare nel tentativo di descrivere una realtà che quanto più veniva studiata nel dettaglio tanto meno sembrava avere un senso. La cosa mi affascinava molto.
Ci vollero circa dieci anni perché si potesse costruire una teoria radicale che rompesse con alcuni concetti fondamentali classici, come spazio assoluto, tempo lineare, oggetti ben definiti e catene di rapporti causa-effetto. Una frase di quel testo che mi impressionò molto sosteneva però che l’ormai superata divisione cartesiana tra mente e materia era ormai entrata così a fondo nel nostro inconscio che ci sarebbero voluti moltissimi anni prima di superarla accettando la nuova realtà descritta dalla fisica quantistica.
Condizionato moltissimo da questa affermazione, io sto semplicemente cercando di dedicarmi a velocizzare questo processo, promuovendo un cambiamento di paradigma culturale che implica una profonda rivoluzione sociale e culturale.
Il libro e le considerazioni di Heisenberg sono rimasti sempre con me e negli anni ‘60, quando ero ormai impegnato nell’attività di ricerca universitaria, mi accorsi di alcune analogie tra il nuovo mondo della fisica quantistica e quello descritto da svariate filosofie orientali che, in quel periodo di rivoluzione culturale, stavano iniziando a diffondersi un po’ ovunque. Ciò mi portò a scrivere il mio primo libro, Il Tao della fisica. In quel periodo non avrei mai pensato di divenire uno scrittore: mi sentivo ancora un fisico che aveva semplicemente scritto un testo in base ad alcune intuizioni originali. Il libro ebbe però molto successo e iniziarono a contattarmi (e persino a venirmi a trovare) moltissimi scienziati che mi illustrarono come anche nel loro specifico campo fosse di fatto possibile interpretare le più recenti scoperte tramite concetti filosofici simili a quelli da me descritti.
Ispirato stavolta da questi studiosi, pensai di scrivere un secondo libro, Il punto di svolta, in cui mostrai la possibilità di utilizzare, non solo in fisica, ma anche in biologia, ecologia, psicologia, sociologia ed economia, un unico medesimo modello interpretativo reticolare. Dopo questo secondo libro ne scrissi un altro e un altro ancora e iniziai gradualmente a modificare l’immagine che avevo di me stesso: non mi sentivo più uno “scienziato scrittore”, ma piuttosto uno “scrittore scienziato”.
Anche adesso infatti, pur essendo ancora uno scienziato, e pur rimanendo in costante dialogo con diversi colleghi di tutto il mondo, non sono uno scienziato nel senso istituzionale del termine. Quello che cerco di fare è inserire le più recenti considerazioni scientifiche all’interno di libri e stimolare così le persone a riflettere sulle conseguenze del nuovo quadro della realtà che si può ricavare da esse. Mi dedico proprio, perciò, da anni, anche all’attivismo ambientale, a seminari universitari, a conferenze aziendali, ma soprattutto ai bambini e all’istruzione in generale.
Mentre la scelta di tornare indietro nel tempo e occuparsi di Leonardo è dettata dal semplice desiderio di identificare nel grande Da Vinci una sorta di precursore del suo pensiero o c’è dell’altro?
Questo è molto interessante, perché in realtà non è stata una scelta davvero motivata. Curiosamente, nonostante il percorso di studi e personale che ho compiuto, e che mi vede ora occuparmi di Leonardo, possa sembrare molto coerente e razionale, in realtà non lo è affatto. Arrivati a una certa età – e io ormai ho settant’anni – si sente un po’ l’esigenza di guardare indietro. Negli anni ’70, quando scrissi Il Tao della fisica, lessi per caso una citazione di Da Vinci. Si trattava di un passaggio in cui Leonardo illustrava il proprio metodo scientifico e rimasi molto colpito dalla perfetta corrispondenza tra la sua descrizione e quella del metodo utilizzato oggi.
Mi ricordo che in quel momento pensai che mi sarebbe davvero piaciuto approfondire la figura di Leonardo e magari scriverci su anche un libro, ma non feci mai nulla e quest’idea rimase per quasi trent’anni nient’altro che un bel sogno. Nel 1995 andai a un’esposizione di un gran numero di disegni di Da Vinci organizzata a Londra e riconobbi con stupore nella sua scienza una scienza di schemi e processi.
Quindi ora sta lavorando a un terzo libro su Leonardo?
Sì, e sarà un libro ancora più grande e impegnativo degli altri. Si occuperà di tutti i brani della sua scienza analizzati molto puntigliosamente. Proprio perciò sarà, molto probabilmente, una pubblicazione accademica. Tratterà delle sue teorie sulla dinamica dei fluidi, sulla geologia, sulla botanica, sulla meccanica e sull’anatomia. Il perno di tutto il discorso rimane sempre la sua “scienza della qualità”, ma questa volta andrò molto nel dettaglio delle sue scoperte nei singoli settori di cui si è occupato.
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