Sono questi i più recenti episodi di un conflitto già noto, che persiste nello stato da molto tempo. A fronteggiarsi sono il gruppo etnico autoctono dei Berom, i cui membri sono per la maggior parte cristiani, e la comunità degli Hausa, musulmani di origine nomade, sopraggiunti all’inizio dello scorso secolo.
L’intera Nigeria, il più popoloso tra i paesi del continente africano, è continuamente ferita da guerriglie e scontri interni tra diverse etnie o gruppi religiosi, tensioni che si perpetrano nel tempo almeno fin dall’epoca del colonialismo. 36 stati e un governo federale che non riesce a stabilire equilibri, anzi al contrario continua ad avallare discriminazioni e favoritismi.
Già al tempo del governo coloniale britannico - nel 1904 -, nella capitale dello stato del Plateau, Jos, vigeva una netta separazione tra abitanti e immigrati. I primi coincidevano fondamentalmente con i cristiani di etnia Berom, mentre i secondi erano rappresentati dagli Hausa, musulmani attirati nella regione dallo sviluppo dell’industria dello stagno. L’accrescersi della comunità di immigrati nel centro cittadino spinse i nativi verso la periferia della città, determinando quindi anche una segregazione spaziale tra i due gruppi.
Le tensioni sono aumentate e hanno condotto a esplosioni violente negli ultimi anni, poiché la comunità Hausa insediata a nord della città di Jos ha cercato di ottenere maggiore potere politico, quanto meno a livello locale. Ciò non è stato gradito dalla controparte cristiana, ne è dunque scaturito lo scontro armato. Nel 2001 si sono registrate circa 1000 vittime nella capitale e gli scontri che si sono succeduti negli anni seguenti ne hanno mietute parecchie altre centinaia.
“Il governo dello Stato della Nigeria mette in atto pratiche molto discriminatorie”, prosegue Higazi, “in particolare l’esclusione di coloro che vengono chiamati ‘i coloni’ della politica”.
Ciò che è alla base degli odi e dell’intolleranza reciproca tra cristiani e musulmani nel paese non sono realmente le radici religiose e le origini etniche, quanto invece la contesa del potere politico, che vede la sistematica messa ai margini dei musulmani da parte dei nativi cristiani.
Questa contesa è tanto più forte quando l’oggetto in questione è assai concreto, vale a dire quando si parla di risorse, in primis la terra e il petrolio. La zona più calda sotto questo profilo è quella del delta del Niger, ricco di giacimenti petroliferi.
I proventi di tale fruttuosa attività andrebbero invece esclusivamente ad arricchire coloro che sono strettamente coinvolti con i colossi petroliferi multinazionali operanti nella zona, vale a dire Shell, Chevron e Agip.
Diversi gruppi di ribelli si sono andati costituendo negli anni, il più forte dei quali è il Mend (Movement for the Emancipation of the Niger Delta), ma a partecipare agli scontri possono essere tali milizie organizzate come anche “semplici” gang di malavitosi coinvolti nel contrabbando del petrolio e desiderosi di guadagnare un maggiore controllo sul territorio e sulla preziosa risorsa.
Il quadro conflittuale che si è venuto a creare in Nigeria è dunque piuttosto complesso e problematiche di varia natura si intrecciano determinando una pericolosa assenza di equilibrio. La lotta per il potere politico e per quello economico contrappongono gruppi etnici, comunità religiose e fazioni locali. Si rende necessario un intervento concreto da parte del governo centrale, ossia delle autorità federali.
Secondo gli studiosi dei conflitti in Nigeria per conto dell’Osservatorio Mondiale per i Diritti Umani (HRW), “le eruzioni di violenza settaria rischiano di riprodursi se il governo non prende iniziative rapide per arrestare gli autori di tali atti e se non ne affronta le cause principali”.
“Alla fine del 2009 è stata chiamata un’udienza per indagare su un episodio di violenza nello stato del Plateau, ma essa non ha portato a nulla”, lamenta Dam Tom, un senatore del governo del Plateau. “Vari sospettati arrestati sono stati subito rilasciati, stabilendo così un cattivo precedente. I rapporti di questa commissione devono essere resi pubblici e i responsabili puniti”.
Per dare una spinta alla situazione, HRW ha richiesto la costituzione di una commissione imparziale, che indaghi approfonditamente sui più recenti scontri mortali, le cui conclusioni dovranno essere rese note pubblicamente.
Data la complessità della situazione non sarà possibile raggiungere un equilibrio a breve, ma la punizione dei responsabili delle stragi e una maggiore comprensione delle dinamiche e dei rapporti di forza rappresentano un passaggio (e forse un punto di partenza) necessario.
A far sperare che qualcosa possa muoversi giungono le dichiarazioni di alcuni funzionari dello stato nigeriano, i quali hanno preso coscienza della necessità di colpire l’impunità, in quanto essa non può far altro che incoraggiare la perseveranza negli attacchi armati.
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