Di cosa si tratta? È un negozio (il nome è la pronuncia di ciò che in tedesco significa, letteralmente, “costa niente”) nel quale sia ciò che si dona (al negozio stesso) che ciò che si prende non viene pagato; una forte, originale e determinata reazione al mondo del consumismo, dello shopping (magari natalizio!) e soprattutto dell’usa e getta. Un luogo in cui gli oggetti perdono il loro valore economico, ma mantengono quello d'uso.
Presso questi “Freeshop” è possibile prendere ciò che più ci serve o che più ci piace senza dover passare alla cassa. Sì, è tutto completamente gratuito. Certo non si può andare ad arraffare tutto ciò che si riesce a portare via. Anche in questi negozi, infatti ci sono delle regole: non si possono prendere più di tre cose, si possono portare via solo beni che possono veramente servire a chi li vuole (ad esempio un ragazzino di dodici anni non potrebbe prendere un accendisigari, ma solo giochi, libri o qualunque altra cosa possa essere davvero di suo gradimento o di cui possa effettivamente fare uso), e ciò che si prende non può essere riveduto (pena il divieto di ingresso presso il negozio). Ovviamente il tutto è molto basato sulla fiducia, ma i presupposti sono ottimi.
E cosa si trova al Kostnix? «Ci sono tanti libri, cd, vestiti per bambini, ma anche elettrodomestici, giocattoli, stoviglie, riviste, borse, zaini», afferma Valentina Callovi in un’ intervista rilasciata alla blogger Martina Bridi, «e abbiamo anche avuto cellulari, macchine fotografiche, scanner, stampanti, schermi del computer e un vestito da sposa (l’oggetto di maggior valore finora ricevuto)».
Riguardo ciò che si può portare al negozio quando non se ne ha più bisogno, invece, «è vietato portare cibi, biancheria intima, cose sporche o rotte». E, sempre in puro spirito “decrescente” che rimanda alle cosiddette “banche del tempo”, è il fatto che un altro «obiettivo sarebbe quello di creare uno spazio aperto, farlo conoscere a più gente possibile e riuscire a generare degli scambi non solo di oggetti, ma anche di abilità. Per esempio, io ti insegno l’italiano e tu mi insegni a suonare la chitarra».
Ma come sopravvive questo Freeshop, senza trarre profitto dalla sua attività? «L’affitto costa 400 euro al mese e riusciamo a pagarlo grazie al Comune che ogni hanno ci finanzia con 1000 euro, donazioni, concerti di solidarietà, serate con vin brulè. Una volta abbiamo ricevuto 1000 euro anche dai Grüne (i Verdi) e altri soldi dall’Università di Innsbruck che ci ha donato i proventi di un concerto».
Insomma, dono, reciprocità, rifiuto degli sprechi e delle logiche consumistiche: il Kostnix ha tutte le carte in regola per avviare quel cambiamento di paradigma culturale che sempre più persone si aspettano e si augurano.
I Kostnix austriaci (e in particolare i due viennesi) sono stati i primi di questi Freiraum, ma di spazi liberi nei quali la gente può incontrarsi, prendere e portare oggetti senza pagare nulla, nei quali non esistono cassa e scontrini, nei quali non si infiltra il mercato, ne sono sorti anche in altre nazioni del centro-nord europeo. Molte altre esperienze analoghe sono nate infatti in Germania, Olanda e Belgio.
Non sorprende più di quel tanto il fatto che in Italia non ci siano Freeshop, se si pensa alla mentalità un po’ truffaldina e spesso provinciale (nonché desiderosa di sfoggiare gli ultimi acquisti per fare “bella figura”) che ci caratterizza. Ma chissà, come qui sono nati e stanno prendendo molto piede fenomeni quali la Decrescita Felice e l’Università del Saper Fare, forse un giorno potremo iniziare a vedere anche nelle nostre città questi esempi di solidarietà, intelligenza e protesta. A partire da Vicenza, dove il Comitato No Dal Molin, oltre alle importanti battaglie che porta avanti, sembra seriamente intenzionato a dar vita al primo Kostnix italiano.
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