Tra poco partirò per Venezia dove, finalmente, potrò vedere di persona “l'orto lagunare” alla cui creazione ho potuto assistere solo a distanza, attraverso le immagini ed i pensieri che Michele e gli altri ragazzi di SpiazziVerdi hanno condiviso.
Michele mi offre l'opportunità di partecipare come “teorico avanverista” (la definizione è sua, ma me ne sono appropriato immediatamente) ai workshop che si terranno in concomitanza della rassegna “Il Veneto che Vogliamo”.
L'occasione di buttarsi a peso morto nella difficile materia dell'“Agricoltura Urbana” è estremamente ghiotta.
Ci sono mille problematiche legate all'auto produzione alimentare nelle città: inquinamento (e conseguente salubrità dei prodotti), uso dell'acqua, ciclo dei rifiuti, spazi, persone, culture alcuni dei quali trattati egregiamente da Grazia Cacciola nel suo L'Orto sul balcone.
Ma il discorso è tutto fuorché scontato.
Nel 1840 il chimico Justus VonLiebig si recò a Londra (la prima città INsostenibile della storia umana) a perorare il riciclo dei reflui fognari attraverso bacini di fitodepurazione per ristabilire i nutrienti necessari alla fertilità dei terreni che dovevano produrre il cibo indispensabile alla metropoli. Purtroppo la municipalità di Londra, pur dichiarando il suo apprezzamento, preferì tenersi il suo modernissimo impianto fognario che scaricava tutto nel bel mezzo del canale della manica. Justus se ne tornò in Germania e, con le pive nel sacco, creò l'agricoltura chimica che oggi ben conosciamo...
La proposta di VonLiebig era logica ed elementare, basta su una semplice analisi: prima del ammodernamento dell'impianto fognario si produceva 100, dopo 50... E, per quanto il chimico tedesco venga visto come il “demone” dell'agricoltura industriale, alcune sue deduzioni sono valide tutt'oggi. (E, anche lui, verso la fine della sua carriera, ammise che la chimica non sarebbe stata la soluzione definitiva...)
Sono più che mai convinto che sia possibile “coltivare” le città, anzi, con un 60-70% della popolazione “metropolitana” a carico di una sempre più ridotta popolazione agraria, credo sia di fondamentale importanza.
Coltivare le città può voler dire migliorarne l'ambiente, la vivibilità, la sostenibilità.
Può voler dire creare nicchie di resilienza. Può voler dire riuscire, lentamente, a superare il concetto di città stesso... senza troppi traumi.
Il problema sono gli strumenti, i modi ed i sistemi con cui l'agricoltura urbana viene progettata, dalle avveniristiche (e a mio parere vagamente inquietanti) vertical farm, agli orti urbani, ai balconi, ai terrazzi.
Will Allen, ex atleta americano, da anni porta avanti, con successo sempre crescente, un progetto di agricoltura urbana a Chicago (dove il clima sarebbe l'incubo di qualsiasi ortolano dell'area mediterranea). Obbiettivo della sua Growing Power è quello di creare occupazione e dare un'alimentazione sana alle fasce più deboli della popolazione.
La progettazione costruita da Allen è basilare, sicura, sana e crea un perfetto ricircolo delle energie dimostrando la fattibilità e riproducibilità di una progettazione creata ad hoc per un ambiente urbano.
Progettazioni come questa sono replicabili ovunque con minimi adattamenti ambientali e con una basilare analisi delle risorse territoriali.
Ma non sono solo i grandi progetti che possono modificare la struttura e l'attitudine urbana anche i singoli, i piccoli nuclei famigliari o i condomini di un palazzo possono (e dovrebbero) mettere in cantiere i propri orti urbani, le proprie “aziende agricole”. Ogni “inurbato” dovrebbe coltivare il suo pezzo di città da solo o in gruppo.
Molti dei problemi correlati alla coltivazione alimentare nelle città sono, da subito, risolvibili o mitigabili attraverso l'utilizzo di tecniche elementari, a basso costo e di altissima efficacia (molte di queste tecniche vengono utilizzate nelle inquinatissime periferie delle metropoli del terzo mondo da ONG che si occupano di migliorare la qualità ed il livello di indipendenza alimentare delle fasce più povere della popolazione), l'applicazione e diffusione di competenza specifiche (coltivare il cardo gobbo di Nizza Monferrato sulle colline dell'alessandrino non è lo stesso che coltivarlo su un tetto di Bologna, clima a parte...) e la creazione di una “massa critica”.
Un orto che nasce in un cortile. Una parte dei prodotti di quest'orto che viene scambiata con i vicini, con gli amici che, a loro volta creano un orto su un terrazzo impegnandosi a scambiare parte dei loro prodotti con un loro amico che ha montato delle arnie sul tetto.
Quello di cui mi piacerebbe parlare a Venezia è questo.
Quello che vorrei vedere è una sorta di virus in azione. Una catena di Sant'Antonio un meme vegetale.
Dei rizomi che, strisciando sotto il porfido lo possano scalzare.
l'Orto sul Balcone
L'orto urbano: come progettarlo, cosa coltivare orto naturale: macrobiotico, biodinamico,... Continua... |
nel mio piccolo sto cercando di trovare nuovi adepti all'ortosulbalconismo...