Per me è stato l'amore. Si, l'amore per mio figlio.
Ma non è stata una decisione solo mia. Bensì dell'intero gruppo che si è riconosciuto nella lista civica Per Cassinetta. Fermare l'espansione urbanistica e il cemento era ed è tuttora uno dei pilastri della nostra Politica. Il motivo principale sta nell'aver preso coscienza di un fatto: il territorio non è infinito e non è riproducibile.
Una volta preso atto di questo, abbiamo adottato l'unica decisione che può concretamente contrastare il fenomeno della cementificazione selvaggia che comincia a soffocare non solo l'ambiente, l'agricoltura e il paesaggio, ma anche i cittadini. Nelle nostre discussioni, è sempre presente un interlocutore mai considerato: le generazioni future, i nostri figli.
Il consumo di territorio ha assunto nell’ultimo decennio proporzioni molto preoccupanti. Seguendo un modello di sviluppo funzionale ad una sommatoria di interessi singoli e per nulla orientato al soddisfacimento e alla salvaguardia del bene comune, il nostro Paese ha cavalcato un’urbanizzazione ampia, rapida e violenta. Le aree destinate ad edilizia privata, le zone artigianali, commerciali e industriali con relativi svincoli e rotonde si sono moltiplicate ed hanno fatto da traino a nuove grandi opere infrastrutturali (autostrade, tangenziali, alta velocità).
Dinamiche complesse che però sono il risultato di un dato di fatto molto semplice: la cementificazione, oggi, non è considerata un’emergenza. Nonostante dati allarmanti e fatti concreti, il consumo di territorio non è considerato un problema.
Così, da un minuscolo comune lombardo, abbiamo deciso di lanciare un sasso nello stagno del grande dibattito italiano. Si è deciso di dire stop al consumo di territorio. Ed è stato fatto, appunto, con un’azione concreta. L’adozione di un Piano Regolatore che non prevede nessuna nuova espansione urbanistica, ma che punta tutto sul recupero dell’esistente. Una decisione che ha suscitato grande interesse, forse eccessivo.
E l’adozione di un Piano Regolatore battezzato a “crescita zero”, ha fatto emergere con chiarezza l’incompatibilità e l’avversità della scelta operata rispetto al modello di sviluppo dominante. Soprattutto nella provincia di Milano.
Quali pensa che siano i vantaggi di una tale scelta, considerando il fatto che l’espansione del territorio nei piani regolatori è vista generalmente come fonte di guadagno per le casse comunali?
Il vantaggio sta nell'ipotizzare e praticare un modello alternativo. E il venir meno di ingenti introiti per oneri di urbanizzazione ci ha fatto trovare un’ Altra Politica.
Oggi i comuni versano in condizioni economiche precarie. Entrate in diminuzione e uscite in aumento producono bilanci in forte squilibrio. In assenza di una reale autonomia finanziaria, per un sindaco e la sua giunta, è sempre più difficile far quadrare i conti.
Se poi l’attività amministrativa è ispirata da manie di grandezza (molti amministratori vogliono e promettono oltre misura: palazzetti, piscine, centri civici, bowling, rotonde, eventi e appuntamenti autoreferenziali), diventa ancora più difficile trovare le risorse necessarie.
Così, grazie al combinato disposto di una legge, che consente di applicare alla parte corrente dei bilanci gli oneri di urbanizzazione e della disponibilità di territorio i comuni praticano la monetizzazione del territorio.
Un circolo vizioso che, se non interrotto, porterà al collasso intere zone/regioni urbane. Un meccanismo deleterio, che permette di finanziare i servizi ai cittadini con gli oneri di urbanizzazione, con l’edilizia, la quale produce nuovi residenti e nuove attività e quindi nuove domande di servizi, e così via, con effetti devastanti. Un meccanismo che di fatto droga i bilanci comunali, finanziando spese correnti con entrate una tantum, che prima o poi finiranno, perchè ripeto il territorio non è infinito.
Come è riuscito a convincere, se ce ne è stato bisogno, il Consiglio Comunale?
La mia maggioranza è un “monocolore”. Un monocolore per la terra. La nostra politica urbanistica ha passato tre esami. Il primo nel 2002, quando ci siamo presentati per la prima volta ottenendo il 51% dei consensi. Il secondo prima dell'approvazione del piano regolatore nel corso di un lungo processo partecipato. Il terzo nel 2007, quando dopo aver approvato il piano regolatore, gli elettori ci hanno premiato con il 62%.
Gli elettori li abbiamo convinti parlando. Illustrando e spiegando che questo modello di sviluppo non va. E che è necessario invertire la rotta. Perchè il futuro non può stare in un centro commerciale dove riversarsi nei fine settimana. Non può stare su una tangenziale. Non può stare in periferie anonime, dove le relazioni sociali sono ai minimi termini e i rapporti umani sono come gelati: una leccata e via.
Presso Cassinetta di Lugagnano è stata presentata a livello nazionale la campagna “Stop al consumo di territorio”. Pensa che possa davvero avere successo una tale iniziativa in un Paese come l’Italia, così soggetto a cementificazione, speculazione edilizia ed abusivismo?
Me lo auguro e i segnali che ci arrivano vanno in quella direzione. Sono ormai più di diecimila gli aderenti ed oltre 200 le associazioni che promuovono iniziative sul territorio. La campagna si propone di affermare il diritto al territorio non cementificato.
“L'Italia è un paese meraviglioso” recita il manifesto nazionale. Viviamo seduti su una miniera d'oro. Ma la stiamo usando come latrina. La campagna vuole essere quel tale che arriva e dice: “Scusi, può evitare. Mi da fastidio...
Cosa pensa del “Piano casa” ideato dall’attuale governo?
Rischia di diventare l'ennesimo condono mascherato.
I nostri immobili sono colabrodo. Consumano 20mc di metano al mq all'anno. Se si ipotizzasse una Grande Opera Pubblica, consistente nel recupero di tutto il patrimonio edilizio esistente rendendolo più efficiente dal punto di vista energetico e nel recupero dei molti angoli deturpati del territorio italiano da ecomostri, si rilancerebbe, eccome, l'edilizia. E sarebbe un investimento per il futuro. Per il turismo, per la cultura.
Il nostro Piano Regolatore, non ha fermato l'edilizia. L'ha indirizzata verso il recupero e verso il restauro. Corti, cortili, ville, cascine, ruderi. Certo non lavorano le grandi imprese immobiliari. Ma i piccoli artigiani. Specialisti del restauro e non quelli della speculazione.
Lei ha partecipato anche al libro L’anticasta: l'Italia che funziona, con altri autori quali Maurizio Pallante e Marco Boschini. Un libro che può risollevare gli animi degli italiani…
In Italia ci sono centinaia di persone che nell'ombra sperimentano quotidianamente un nuovo modo di fare politica. Difficilmente salgono alla ribalta dei talk show televisivi. Se fossero invitati a Ballarò o a Porta a Porta, renderebbero visibile un'altra Italia. Quella che non fa della politica un esercizio tattico. Ma che utilizza il potere per cercare nuove vie e rendendole praticabili anche per gli altri. Interpretando il significato dato alla politica da Aristotele. Lavorare per il bene comune. Il libro di Marco Boschini e Michele Dotti, raccoglie queste nostre storie e le mette a disposizione. Spero davvero molti Italiani sappiano prendere spunto per appassionarsi e per trovare tempo e spazio da dedicare alla rinascita di questo paese.
A proposito di Pallante e Boschini, pensa che Associazioni come quella della Decrescita felice o dei Comuni Virtuosi, con le loro proposte che vanno oltre alla mera critica di ciò che non va, possano aiutare gli enti locali nella gestione della cosa pubblica?
Le esperienza virtuose sono a disposizione. Basta cercarle, copiarle e adattarle. E non ascoltare mai i “mestieranti” della politica. Quelli che ai cittadini che vorrebbero occuparsi del loro paese, del loro quartiere o della loro città, dicono: “Eh...la politica è difficile. Enormi responsabilità. Leggi, regolamenti, normativa. Ci pensiamo noi. Non ti preoccupare. Tu continua a guardare la TV".
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