“E’ uno scippo, un golpe legale”, protesta Lino Balza di “Medicina democratica”, animatore della mobilitazione che ha portato alla vittoria del primo round, nel quale il Tar del Piemonte ha dato ragione agli ambientalisti dichiarando illegittimo il decreto con il quale il governo (col consenso della Regione) intendeva avviare la dismissione dell’impianto, trasformandolo in discarica nucleare e cioè seppellendo nel cemento gli oltre 500 fusti di materiale radioattivo tuttora stoccati. “Per opporci, tramite il Tar del Piemonte – dice Balza – insieme a Legambiente, Pro Natura, Movimento per la Decrescita Felice e altre associazioni ecologiste siamo riusciti a raccogliere 4.000 euro per sostenere le spese legali. Ora, per opporsi al Consiglio di Stato, servono altri 20.000 euro: davvero tanti, purtroppo. Alla faccia del motto in base al quale la legge è uguale per tutti”.
Spostando la sede di giudizio dal Tar del Piemonte al Consiglio di Stato, lo “scippo legale del governo”, come lo definisce Balza, ha quintuplicato i costi, da 4 a 20 mila euro, in modo che la generosa sottoscrizione popolare che aveva permesso di affrontare (e vincere) il ricorso al Tar non è più sufficiente. “Senza soldi – avverte Lino Balza – siamo costretti a rinunciare il 16 giugno a costituirci in giudizio: costretti a perdere, pur avendo ragione e probabilità di successo”. Un triste annuncio. “Sì, è un momento drammatico. D’altronde, facciamo quello che le nostre forze ci consentono. Le associazioni e i partiti nazionali, che a parole si dicono contro il rilancio del nucleare, e per i quali 20.000 euro non sarebbero una cifra astronomica, non danno nessun contributo per inceppare lo smaltimento illegale delle scorie nucleari e il successivo rilancio delle centrali”.
Rischia quindi di essere (legalmente) soffocata la protesta di Bosco Marengo, nata attorno al destino dell’impianto Sogin, ex Fabbricazioni Nucleari, dove sono stoccati combustibili atomici. Già in passato la popolazione era insorta contro la trasformazione dell’impianto in un polo di trattamento rifiuti. “Dentro la fabbrica – ricorda Giulio Armano, ambientalista – c’era ancora un centinaio di dipendenti (attualmente sono 40) e ci colpì la difficoltà nell’ottenere informazioni”.
Visto che il deposito non lo vuole nessuno, nel 2004 il governo ha provato a giocare la carta del decreto-legge per autorizzare la Sogin alla dismissione dell’impianto alessandrino, anche se ancora non esiste il Deposito unico nazionale. Scrive il quotidiano di Genova: “Viene creata sulla carta la ‘dismissione a metà’, che non può rispettare il criterio-base della dismissione completa. E cioè il rilascio dei terreni ‘esenti da vincoli di natura radiologica’”. Ovvio che se si demoliscono una centrale o un punto di stoccaggio, ma non si sa dove smaltire le scorie, bisognerà farlo sul posto. Ecco quindi il piano-B: anche se in contrasto con la legge del 2003, in mancanza di alternative, Bosco Marengo è dunque il primo insediamento candidato a trasformarsi in discarica nucleare “temporanea”.
Bosco Marengo, scrive sempre il “Secolo”, non è l’impianto più pericoloso: “Saluggia, a cinquanta chilometri, contiene materiali dalla radioattività un milione di volte superiore. E anche lì, come a Trino Vercellese, è stato avviato l’iter per la “metamorfosi”, ma la procedura è assai macchinosa. Ci vuole insomma un grimaldello, e se passasse il restyling di Bosco per il governo sarebbe l’ideale”. Ecco spiegato il carattere strategico della disfida nucleare di Alessandria, nonché la sua pericolosità. “La nascita dei depositi temporanei è folle”, accusa Gian Piero Godio, di Legambiente. “Alcuni luoghi sono completamente inadeguati, tipo Saluggia dove c’è stata un’alluvione nel 2000. E poi, quanto sarebbero provvisori? Quanto costa seppellire momentaneamente i rifiuti, poi ri-tirarli fuori e portarli da un’altra parte in futuro? Si può credere che andrà davvero così?”.
È probabilmente con questa convinzione che il Consiglio di Stato ha fatto ripartire tutto con un blitz in mezza giornata. Verdetto rinviato, dunque, al 16 giugno: data fatidica, per l’Italia che rivuole il nucleare e per quella che, al nucleare, si oppone. Tra mille domande, inevitabili: il decreto ministeriale su Bosco Marengo, salvato in corner dal Consiglio di Stato, era (ed è) un blitz per velocizzare attraverso una porta di servizio la politica dello smaltimento a macchia di leopardo, che la legge in teoria esclude? Ancora: quanto sarebbe “temporanea” la presenza dei rifiuti nucleari sepolti qua e là? E nel 2020, inoltre, dove finiranno le scorie provenienti dalla Francia? Se l’Italia non avrà ancora trovato il Deposito unico, chi si dividerà la scomoda torta francese?
Così, mentre perdura l’indifferenza generale della politica italiana per la delicatissima trincea di Bosco Marengo, da cui può dipendere l’effettivo ritorno del nucleare in Italia, agli attivisti alessandrini non resta che rilanciare l’appello: raccogliere 20.000 euro in pochi giorni, per tentare di opporsi anche al Consiglio di Stato il 16 giugno. “Potremmo vincere anche questo secondo round – dice Lino Balza – a patto però di ricevere aiuti massicci e immediati”.
E’ possibile effettuare versamenti sul conto corrente bancario 10039 intestato a Medicina Democratica Scrl (Abi 05584, Cab 01708, Cin W, Iban IT50W0558401708000000010039, causale “nucleare Alessandria”) o sul conto corrente postale 22362107 intestato a Pro Natura Torino (Via Pastrengo 13, 10128 Torino, causale “nucleare Alessandria”).
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