Un tema molto scottante e molto attuale, in cui nella maggior parte dei casi si bada solo alle fasi “finali” di queste problematiche (parlando di accoglienza piuttosto che di espulsione, ad esempio), senza minimamente curarsi delle cause, dell’origine di questi fenomeni.
Un sistema economico fondato sulla crescita del prodotto interno lordo deve aumentare in continuazione il numero dei produttori e consumatori di merci. Di conseguenza deve indurre, con le buone o con le cattive, con la persuasione o con la forza, un numero crescente di contadini tradizionali ad abbandonare l'autoproduzione di beni, cioè l'agricoltura di sussistenza dove la vendita è limitata alle eccedenze, per andare a produrre merci e guadagnare in cambio il denaro necessario a comprarle. Questo passaggio implica l'abbandono delle campagne e il trasferimento nelle città con costi sociali e ambientali elevatissimi. Sociali se si considera, ad esempio, l’impatto fra le diverse culture quando migliaia di persone si spostano in massa dal sud al nord del mondo (o dall’est all’ovest); ambientali se si pensa che oggi più della metà della popolazione mondiale vive ammassata nelle grandi metropoli.
Uno stile di vita non omologato sui modelli consumistici, oltre a migliorare la qualità della vita di chi lo pratica, può contribuire a rimuovere le cause che inducono a emigrare in misura superiore a quanto comunemente si pensi; seppure sia a volte difficile, e delicato, far capire a chi non ha avuto mai niente (materialmente parlando) che la soluzione ai suoi problemi non è l’acquisto di merci, ma che anzi ne è la causa.
Fino a quando la crescita infinita sarà il modello economico e sociale propinato a tutte le società del mondo, non si potrà mai dare fine al fenomeno delle migrazioni, nemmeno se si volessero istituire le più feroci ronde da una parte, o se si volesse accogliere chiunque ne faccia domanda dall’altra (entrambe soluzioni impossibili ed insensate).
Fino a quando le società opulente, già eccessivamente caratterizzate da una crescita ipertrofica, vorranno mantenere certi stili di vita, non si potranno permettere di diminuire il numero né di persone dipendenti dal mercato, né di persone per la manodopera a basso costo.
Fino a quando le società cosiddette “povere” vorranno seguire il mito della crescita, non si potranno permettere di continuare a sostentarsi come hanno sempre fatto tramite le loro economie di sussistenza, ma dovranno adeguarsi ad un mercato falsamente libero. E le loro popolazioni, appunto, trasferirsi in massa in quei Paesi nei quali invece l’economia di sussistenza è stata abbandonata da fin troppo tempo.
Migrazioni, crescita, guerre di occupazione per accaparrarsi le risorse, consumismo, inquinamento, possono essere ridotti con uno stile di vita più sobrio e con l’implementazione, quando possibile, dell’autoproduzione di beni.
Si può fare molto per risolvere da subito i nostri problemi. E nostri vuol dire di tutti i popoli, sia “ricchi” che “poveri”, o presunti tali.
Questo volume, “Decrescita e migrazioni”, si legge facilmente nonostante la complessità dei temi trattati. E soprattutto fornisce delle immediate "risposte", pur nella sua sinteticità, alle problematiche epocali in questione.
Decrescita e Migrazioni
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