Al momento la percentuale di tali rifiuti recuperati è di circa il 24%, ma ci si aspetta un ulteriore aumento nel prossimo futuro, in virtù della crescente attenzione al tema da parte di consumatori e aziende specializzate nel riciclaggio. “La gente finalmente riconosce che la plastica è una risorsa troppo preziosa per essere sprecata”, afferma con soddisfazione Steve Russel, amministratore delegato della Divisione Materie Plastiche della ACC. “Le plastiche riciclate possono essere trasformate in tantissimi utili prodotti”, aggiunge Steve Alexander, direttore esecutivo di APR, “come nuove bottiglie, tappezzerie, rivestimenti, indumenti di pile, arredi da esterni, ecc.”
Se da un lato il riciclaggio acquista terreno, lo spreco di certo non diminuisce, soprattutto in campo di imballaggi e di accessori usa e getta. Nei supermercati proliferano le monoporzioni già preparate di qualunque genere di cibo (carne, formaggi, insalate, verdure, dolci, ecc), tutte rigorosamente contenute in vaschette di plastica sigillate con cellophane. In più le esigenze di risparmio di tempo di molti cittadini portano all’uso (spesso anche eccessivo e disattento) di piatti e stoviglie di plastica. Tutto questo costituisce uno spreco immane. Per quanto le tecnologie e le infrastrutture per il riciclo aumentino, nonché l’attenzione verso tale pratica, resta il fatto che non consumare affatto è meglio. Il riciclo della plastica richiede pur sempre impiego di energia, nonché emissione di gas serra, durante il processo industriale.
Ma perché piatti, bicchieri e posate di plastica non si riciclano?
Questa è una domanda ricorrente tra i consumatori. È forse colpa del tipo di materiale plastico usato? Dello spessore? Sono gettati via troppo sporchi?
La realtà è che si tratta solo di un problema legislativo. Le normative europea ed italiana prevedono, infatti, l’obbligo di riciclaggio solo per i prodotti in plastica che rappresentano imballaggi. E’ sancita per legge la responsabilità condivisa, in fatto di raccolta e riciclo degli imballaggi (indipendentemente dal materiale di cui sono costituiti, quindi plastiche come anche carta, cartone, alluminio, vetro, ecc.), tra i produttori e le pubbliche amministrazioni.
La normativa stabilisce, in pratica, il principio che chi inquina deve pagare, ossia deve assumersi l’onere economico del trattamento opportuno dei prodotti dopo il loro scarto. Le amministrazioni (tramite società pubblico-private ed ex municipalizzate) recuperano gli imballaggi dalle abitazioni dei singoli cittadini, dagli uffici e dai piccoli esercizi commerciali. I produttori, invece, riuniti in specifici consorzi nazionali, li raccolgono presso i grandi esercizi commerciali e le aziende. Tali consorzi versano ai Comuni un corrispettivo economico che ha lo scopo di coprire le spese legate alla raccolta differenziata e all’avvio verso il riciclo. Il recupero delle materie plastiche è di competenza del COREPLA (COnsorzio Recupero PLAstica), che confluisce insieme agli altri consorzi di filiera nel CONAI (COnsorzio NAzionale Imballaggi).
Piatti, bicchieri e posate di plastica non si riciclano, dunque, esclusivamente perché non costituiscono imballaggi, pertanto i produttori non versano per essi alcun contributo al CONAI. Ciò non impedisce alle singole amministrazioni pubbliche di recuperare le stoviglie in plastica ed avviare anch’esse al riciclo. Ma ovviamente tale processo ha un costo non indifferente che i Comuni, mancando il contributo da parte delle aziende produttrici, spesso non possono affrontare.
Quest’ultima distinzione un tempo non era presente, quindi piatti e recipienti simili erano esclusi a priori. La direttiva europea dell’11 febbraio 2004 ha invece esteso la definizione di imballaggio, per cui anche i contenitori progettati e destinati ad essere riempiti nel punto vendita sono soggetti agli obblighi di raccolta differenziata. Possono essere dunque posti nel contenitore per la plastica, oltre ai classici flaconi, barattoli e bottiglie, anche sacchetti e borse della spesa, piatti e vasetti (inclusi quelli dello yogurt), pellicole e plastiche trasparenti, reti per frutta e verdura nonché vaschette e strutture di polistirolo.
È naturale che ci si chieda come possano essere nella pratica distinti i piatti e i bicchieri impiegati dai negozi come imballaggi da quelli consumati in casa. Nella maggior parte delle situazioni quelli adottati dai supermercati sono diversi, più spessi; nel caso siano esattamente uguali, la faccenda è a discrimine del Comune. È evidente che, data la sottigliezza della questione, è più probabile che tali prodotti vengano semplicemente inviati all’incenerimento.
Sarebbe forse opportuno, dunque, che si introducesse l’obbligo di pagamento dell’onere di riciclo per i produttori di stoviglie usa e getta, a prescindere dell’impiego specifico che ne verrà fatto.
Resta comunque indubbio che noi consumatori abbiamo il potere di scegliere, quindi possiamo evitare in ogni caso di ricorrere a tali utensili. E se proprio non riusciamo a farne a meno, possiamo prediligere quelli realizzati in bioplastiche, come il MAterBi e il Pla, le quali provengono da materie prime vegetali e pertanto biodegradabili tramite compostaggio (come i rifiuti organici).
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