Grandi Opere nasce dalla volontà di fare una riflessione a 360 gradi sul mondo delle grandi infrastrutture. Una riflessione volta a mettere in luce la loro reale natura, i loro costi, l’effettiva utilità e gli impatti ambientali e sociali determinati dalla loro costruzione. Tentando di approfondire le eventuali alternative alla realizzazione delle grandi opere ed individuare quali sono i soggetti costretti a pagarne il conto e quali i soggetti che attraverso la loro costruzione accumulano profitti miliardari.
Ho definito le grandi opere “infrastrutture dell’assurdo” poiché molto spesso la loro costruzione non è motivata da necessità oggettive, ma semplicemente dalla volontà di costruire “profitto facile” attraverso la cementificazione del territorio.
Perché qualcuno dovrebbe comprarlo?
La lettura di Grandi Opere è utile per comprendere nel finanziamento di quali progetti viene speso il denaro del contribuente. Inoltre permette al lettore di maturare una visione a tutto tondo di un tema come quello delle grandi infrastrutture, riguardo al quale giornali, TV, politica e mondo sindacale offrono una visione parcellare, il più delle volte condizionata dagli interessi economici delle lobby che li sostengono.
In linea di massima nell’anno trascorso tutti gli argomenti trattati nel libro sono rimasti drammaticamente attuali. La guerra fra Georgia ed Ossezia ha dimostrato ancora una volta quanto sia a rischio un’infrastruttura fragile come l’oleodotto BTC. In Italia è continuata la costruzione dei megainceneritori, ultimo in ordine di tempo quello di Acerra. Il processo di Firenze contro il consorzio CAVET ha messo in luce parte della profonda devastazione del territorio del Mugello determinata dalla costruzione delle gallerie del TAV Bologna – Firenze. Il governo italiano ha finanziato con 16 miliardi di euro la costruzione di nuove grandi opere, fra le quali alcune nuove tratte ferroviarie ad alta velocità ed il Ponte sullo stretto di Messina. Si ventila il ritorno in Italia delle centrali nucleari, nonostante come ampiamente documentato nel libro, sia nel nostro paese che nel resto del mondo nessuno abbia ancora individuato un qualche sistema efficace attraverso il quale stoccare in sicurezza le scorie radioattive.
Se a distanza di un anno dovessi aggiungere qualcosa, approfondirei sicuramente l’argomento centrali nucleari e parlerei del Ponte sullo Stretto di Messina. Inserirei anche il tema delle centrali a carbone “pulito” che in Italia stanno prolificando, nonostante quello del carbone “pulito” sia un ossimoro che non esiste e farei un’analisi dei progetti che riguardano i nuovi rigassificatori.
In realtà il governo Berlusconi non sta facendo nulla di differente da quello che hanno fatto i governi precedenti (se si eccettua il tema del nucleare riguardo al quale il centrosinistra era più scettico) in tema di grandi opere. L’imperativo di costruire e cementificare accomuna tutte le forze politiche in maniera assolutamente trasversale ed è stato finora portato avanti senza esitazione a prescindere dal colore della maggioranza al governo. Alcune opere hanno maggiori possibilità di venire portate a termine, altre meno, tutto dipenderà probabilmente dalle disponibilità di denaro e dalla forza di pressione determinata dai singoli gruppi d’interesse. Sicuramente è più facile scommettere sulla costruzione di decine di nuovi forni inceneritori che non sulla realizzazione del Ponte sullo Stretto.
Ci sono molte grandi opere (pur non nel senso canonico del termine) di cui l’Italia avrebbe estremo bisogno. Penso alla ristrutturazione del patrimonio edilizio pubblico e privato, finalizzata a diminuire il consumo energetico degli edifici. Penso alla ristrutturazione di migliaia di edifici scolastici che contengono amianto o i cui soffitti rischiano di cadere sulla testa degli studenti. Penso ad un progetto che riorganizzi il sistema di distribuzione dell’energia, in funzione del contenimento delle perdite e della valorizzazione dell’autoproduzione energetica individuale. Penso ad una grande opera di bonifica delle zone inquinate e di riqualificazione dei territori, che ogni qualvolta arriva una perturbazione sono soggetti a movimenti franosi e fenomeni alluvionali devastanti. Purtroppo si tratta di grandi opere che pur alimentando l’occupazione non farebbero salire a sufficienza il PIL e distribuirebbero il profitto su un vasto numero di piccole imprese, anziché indirizzarlo nelle mani dei “soliti noti” e forse proprio per questo non vengono prese in considerazione.
Il ritornello della sindrome nimby (non nel mio cortile) è stato usato a lungo per screditare chiunque si opponesse alle grandi opere, anche se in realtà la maggior parte di coloro che contestano infrastrutture e nocività sono persone in possesso di conoscenze e consapevolezze estremamente elevate che li portano a spaziare ben oltre il proprio orticello.
Effettivamente molte volte nel libro ho proposto soluzioni alternative alle opere progettate o realizzate. Soluzioni che sarebbero più efficaci ed estremamente meno costose. Le alternative sono concrete ma non penso verranno mai realizzate, proprio perché il loro minore costo le rende scarsamente appetibili per i gruppi di potere che attraverso le grandi opere costruiscono i propri immensi profitti. Altre volte non mi è stato possibile suggerire delle alternative, poiché il problema che la grande opera presa in considerazione si proponeva di risolvere in realtà non esisteva. Non si può proporre un’alternativa al TAV Torino – Lione che i promotori dell’opera sponsorizzano come un’infrastruttura finalizzata a facilitare lo spostamento di viaggiatori e merci che nella realtà non esistono, oltretutto su una direttrice all’interno della quale il già scarso traffico merci e passeggeri esistente sta continuando a calare da oltre 8 anni. Così come non si può proporre un’alternativa che non sia la ristrutturazione del sistema di distribuzione dell’energia, ad una diga come quella di Sardar Savor, in India, che produce una quantità di energia annua inferiore di tre volte a quella che annualmente viene persa in fughe di distribuzione e trasmissione all’interno della regione.
Gli investimenti di cifre colossali nelle grandi opere non sono affatto elusivo appannaggio dell’Italia. Nel libro ho preso in considerazione molte infrastrutture ciclopiche realizzate o progettate in svariati paesi del mondo. Dall’Eurotunnel che corre sotto la Manica alle dighe che devasteranno l’Islanda, dalle grandi dighe cinesi a quelle costruite in Guatemala, in Argentina, in Turchia, in Africa e in India. Ho dedicato grande attenzione al deposito per scorie nucleari di Yucca Mountain nel Nevada, all’oleodotto BTC, alla Stazione Spaziale Internazionale e alle grandi infrastrutture di Dubai.
Verso la fine troviamo un capitolo intitolato “psicologia delle grandi opere”. Che significa?
E’ un capitolo molto interessante, perché al suo interno ci si domanda come sia possibile che i cittadini continuino a finanziare gioiosamente le grandi opere, pur ricevendo dalla loro costruzione unicamente conseguenze negative, sotto il profilo economico, ambientale e sociale. In realtà si tratta di un vero e proprio fenomeno di plagio, messo in atto dall’informazione e dalle classi politiche, che induce la pubblica opinione ad accettare l’assioma in virtù del quale le grandi opere producono progresso e ricchezza. Un assioma mai dimostrato, sostenuto attraverso slogan e frasi fatte contro l’evidenza determinata da migliaia di studi economici e scientifici, ma preso per buono dalla maggior parte della popolazione abituata ad informarsi solamente attraverso la TV ed i quotidiani.
Ti faccio una proposta: visto che i temi trattati nel libro sono molti ed è impossibile riassumerli qui, che ne dici di farne una serie di articoli (uno per capitolo) nelle prossime settimana per la rubrica che curi in questo stesso giornale?
L’idea di un articolo per capitolo mi sembra ottima, certamente in questo modo sarebbe possibile rendere maggiormente il senso del mio lavoro ed entrare nel merito delle singole questioni. Cosa che ovviamente non si è potuto fare all’interno di questa intervista.
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