Le specie esotiche invasive (Invasive alien species: IAS) sono piante, animali, agenti patogeni e altri organismi che non sono nativi di un ecosistema e che possono causare danni economici o ambientali, così come alla salute dell’uomo. In particolare, incidendo negativamente sulla biodiversità, attraverso la competizione, la predazione, la trasmissione di agenti patogeni e l’eliminazione di specie native, perturbano gli ecosistemi locali.
Fin dal XVII secolo tali specie, introdotte e diffusesi al di fuori dei loro habitat naturali, hanno contribuito a quasi il 40% di tutte le estinzioni di specie animali di cui è nota la causa. Un problema che continua ad espandersi in tutto il mondo con costi socio-economici, sanitari, ecologici assai elevati.
Come se non bastasse, queste specie esotiche aggravano la povertà e minacciano lo sviluppo attraverso il loro impatto sull’agricoltura, sulle foreste, sulla pesca e sui sistemi naturali, che sono risorse fondamentali per il benessere dei Paesi in via di sviluppo.
Ma chi è il principale “colpevole” della diffusione delle specie invasive? Ancora una volta la globalizzazione che insieme a maggiori commerci, trasporti, viaggi e turismo, ha favorito l’introduzione e la diffusione di specie alloctone.
Molte volte le immissioni sono accidentali e difficilmente controllabili: ad esempio le alghe contenute nelle acque di zavorra delle navi o i parassiti degli animali esotici da compagnia. Molte volte invece si tratta di immissioni intenzionali, come succede per le specie vegetali o animali di interesse agricolo e zootecnico importate perché in grado di garantire maggiori livelli di produttività rispetto alle specie locali, o per gli animali da compagnia di provenienza esotica abbandonati nei nostri ambienti.
Se il nuovo ambiente in cui capita la specie importata è abbastanza simile a quello d’origine, la specie animale o vegetale può sopravvivere e riprodursi con discreta facilità. Se riesce anche a competere con successo con gli organismi nativi per cibo e habitat, presto comincia a diffondersi nel nuovo ambiente, ad aumentare la sua popolazione e a danneggiare parte degli ecosistemi nei quali è stato introdotta.
I mitili zebra (Dreissena polymorpha), bivalve nativi del Mar Caspio e del Mar Nero, stanno danneggiando la pesca, la biodiversità dei molluschi e la produzione di energia elettrica nella regione dei Grandi Laghi del Nord America, nel bacino del Mississippi ed da poco anche in Italia.
Il giacinto d’acqua (Eichhornia crassipes) dal bacino amazzonico ha invaso gli habitat tropicali di tutto il mondo: grazie all’uomo si è espanso in più di 50 Paesi di tutti i Continenti. Questa pianta acquatica riesce a bloccare la navigazione fluviale, decima la fauna acquatica e danneggia i mezzi di sussistenza delle comunità locali, creando allo stesso tempo situazioni ideali per il proliferare di vettori di malattie legate all’acqua.
Attraverso le navi, i ratti (Rattus rattus) nativi del sub-continente indiano sono stati portati alla conquista del pianeta, causando estinzioni catastrofiche e il declino di intere popolazioni di uccelli nidificanti nelle isole.
La Convenzione internazionale della biodiversità sta invitando i suoi 191 paesi aderenti a riconoscere l’urgente necessità di affrontare l’impatto delle specie esotiche invasive e, soprattutto, a impedire l’introduzione, controllare o sradicare tali specie che minacciano gli ecosistemi.
La Convenzione ha adottato delle linee guida e raccolto informazioni utili per coordinare l’azione internazionale a riguardo, raccomandando prima di ogni cosa la prevenzione, attività efficace che ha il miglio rapporto costo-benefici.
Allo stato attuale, spiegano i ricercatori, a livello mondiale la capacità di ispezione ed analisi dei rischio non è sufficiente. Bisognerebbe quindi innanzitutto fermare la diffusione di queste specie alla fonte, attraverso controlli doganali e delle spedizioni di merci, conducendo anche accurate valutazioni dei rischi, con l’applicazione di precise e condivise norme sulla quarantena.
Se da una parte il problema delle specie esotiche invasive, in quanto di portata globale, deve essere affrontato in primis attraverso la collaborazione tra i governi, i settori economici e le organizzazioni internazionali, dall’altra un passo fondamentale sarà educare e sensibilizzare l’opinione pubblica. Affinché tutti gli individui, dai responsabili politici ai consumatori, dagli agricoltori ai proprietari terrieri, dagli educatori ai giovani ed ai turisti, evitino comportamenti irresponsabili e svolgano un importante ruolo.
28 Aprile 2009 - Scrivi un commento